Reinventare una nuova generazione vuol dire più che includere i giovani nella comunicazione: significa ripensare il concetto stesso di “giovani”, intesi non come segmento demografico o semplice destinatario, ma come risultante di un processo collettivo, culturale, economico e civile. In un’epoca segnata da un forte inverno demografico, in cui la natalità diminuisce e l’età media della popolazione cresce, è cruciale chiedersi se stiamo facendo del nostro meglio per favorire la crescita di una generazione che dovrà affrontare un mondo molto differente da quello che le generazioni precedenti hanno ereditato.

Secondo l’ultimo Rapporto Giovani 2025, presentato il 20 maggio al Presidente della Repubblica, i giovani italiani tra i 18 e i 34 anni sono descritti come “consapevoli, desiderosi di contribuire al cambiamento, ma troppo spesso ostacolati da barriere economiche e sociali”. L’Osservatorio segnala un bisogno profondo di spazi concreti di crescita e partecipazione, non semplici parole d’ordine. In tal senso appare un buon segnale quello del Governo inglese che ha deciso di abbassare fino a 16 l’età per il diritto al voto.

In questo quadro, la comunicazione non può limitarsi a cercare di “parlare ai giovani”: deve trasformarsi in una pratica che li include come autori della narrazione, protagonisti con voce, spazio e responsabilità. Le imprese dovrebbero andare oltre il linguaggio studiato per intercettarli, aprendosi a co-creazione, mentorship, incubatori senza barriere generazionali, scelte comunicative che valorizzano l’esperienza e l’interpretazione dei giovani stessi.

Reinventare i giovani, una nuova generazione tra business e comunità
Reinventare i giovani, una nuova generazione tra business e comunità

Il punto è che quella che oggi chiamiamo generazione Z, o millennial, deve diventare la generazione A: A di autonomia, ascolto, azione. E questo non è solo un tema ideale: è una questione di sopravvivenza strategica. È assolutamente necessario continuare a produrre chip e tecnologie avanzate, ma allo stesso modo dobbiamo garantirci di avere giovani formati, motivati e protagonisti capaci di svilupparle, utilizzarle, migliorarle.

I dati IARD, frutto dell’indagine condotta dall’Istituto Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica tramite IPSOS, confermano questa esigenza: manca una struttura solida di supporto, culturale e istituzionale.

Tutto punta nella direzione di un cambio di paradigma per far emergere una generazione A che sarà contemporaneamente capitale umano, driver di innovazione e valore reputazionale per imprese e istituzioni.

Se è vero che la speranza non ha età, come scrive Francesco Macrì, giornalista, analista e saggista impegnato in particolare sul tema della condizione giovanile in Italia, è responsabilità degli adulti – imprese, scuole, istituzioni – darsi una scossa e creare un progetto per fare in modo che questa speranza non resti aspirazione, ma diventi un fatto concreto, generazione dopo generazione.

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Armando Barone

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