326.000 spettatori in meno in prima serata. Per la prima volta l’audience media della TV lineare scende sotto i 20 milioni. Potrebbe sembrare un dato tecnico, ma in realtà è molto di più: è un segnale di rotta.
Perché non è solo la TV a rallentare. È l’intero impianto di comunicazione tradizionale a mostrare un nuovo segno di instabilità. E con esso, il modello di business, la pubblicità, il posizionamento dei brand e persino le relazioni tra aziende e società.
Tramonta il modello della Tv tradizionale
A nostro avviso l’indebolimento della TV è l’ennesima prova di una società post-digitale difficile da inquadrare da parte degli editori. Business plan basati su media tradizionali e la centralità del palinsesto iniziano a mostrare le proprie crepe dal momento che la vita delle persone si muove su piattaforme che funzionano in logica asincrona, algoritmica, personalizzata.
Gli editori non sono i soli ad essere alle prese con i primi segnali di un futuro profondamente diverso. I consumatori stanno mettendo in crisi anche la comunicazione Corporate. Non seguono spot, claim o post confezionati a tavolino: cercano riconoscimento. Cercano contenuti che parlino di loro. Lentamente si sta passando dalla logica del broadcasting a quella del riconoscimento attivo.

Le nuove regole del gioco
Chi comunica – che sia un CEO, un brand manager o un team social – deve accettare una nuova regola del gioco: non basta più pubblicare, bisogna sintonizzarsi. Non basta più parlare, bisogna connettere. E connettere, oggi, è una forma strategica di leadership.
Ma tutto questo si inserisce in un contesto ancora più complesso: quello delle regole. I giornalisti rispondono a un ordine professionale, hanno una deontologia, un mandato pubblico. I creator no. I social non sono chiamati a garantire trasparenza, pluralismo o qualità informativa. Questa asimmetria regolatoria non è solo un dettaglio tecnico: è una frattura sistemica rilevante.
Serve un nuovo modello, per consolidare la fiducia
Il risultato? Da un lato il pubblico migra verso contenuti più autentici, più diretti, più personali ma spesso di cattiva qualità. Dall’altro, le aziende faticano a trovare la propria voce in questo rumore di fondo. E gli editori faticano sempre di più.
Serve un cambio di postura. Un ripensamento profondo dell’ecosistema e del modello di business. In gioco non sono i KPI ma la rilevanza. E, ancora più in profondità, c’è la fiducia.
Chi non comprende questo cambiamento rischia di continuare a guardare il dito, ignorando la luna. E chi pensa di poter delegare tutto a un algoritmo, rischia di perdere il contatto con la società. Il problema, allora, non sarà solo tecnologico. Sarà culturale.
Happy media!
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