Con il crescere dell’attenzione intorno al tema dell’inclusività, siamo sempre più coinvolti come professionisti a trovare modi e azioni per muovere questo concetto da un’idea astratta a modus operandi concreto. Per questo ben volentieri accetto lo stimolo di condividere un’opinione rispetto all’articolo pubblicato su thinkwithgoogle.com

L’evoluzione verso una maggiore inclusività da parte delle organizzazioni per trasformare i team di lavoro in contesti maggiormente in grado di cogliere e valorizzare gli elementi di differenza in un’era contraddistinta da repentini cambiamenti è molto cresciuta ed senz’altro un fattore positivo.

Ma come si può rendere un team di lavoro davvero inclusivo e come chi lo deve coordinare può favorire questo processo? L’esperienza mi dice che ci sono alcuni elementi che non possono mancare: maggiore capacità di ascolto, accoglienza delle criticità, aperta convivenza tra le identità o diversità del team.

Credo sia molto interessante anche la riflessione portata da Thinkwithgoogle e Adweek su una maggiore attenzione a un linguaggio e ad ambienti di lavoro più inclusivi soprattutto ora con l’avvento del modello ibrido.

Il ruolo del linguaggio, utilizzato all’interno di un team, può essere essenziale su molti fronti. Con le parole può capitarci di discriminare le persone disabili e, più in generale, il presupporre che tutte le persone abbiano un corpo abile. È facile cadere nel tranello della non consapevolezza rispetto al linguaggio che utilizziamo.

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Anche l’età è un problema di inclusione e diversità che il nostro linguaggio quotidiano deve ancora risolvere, sarà capitato a molti dire per esempio: “è troppo vecchio per lavorare in questo team.” – oppure – “Il suo cv contiene delle esperienze interessanti ma ho bisogno di una persona più giovane per il mio team”.

Anche gli ambienti in cui i team operano sono cambiati e mantenere le connessioni virtuali continuerà a essere fondamentale, dal momento che sempre più team lavorano in modalità ibrida. In un luogo di lavoro ibrido è fondamentale che i team abbiano pari possibilità di collaborazione, in cui tutti i dipendenti dispongano dell’accesso, e di informazioni e strumenti necessari per lavorare insieme al proprio team ed essere produttivi.

Quindi un coordinatore di team deve riuscire a coinvolgere le persone anche se sono a distanza e questo mi rendo conto non sia facile, ma ci sono degli escamotage, per esempio iniziare una riunione domandando un parere alle persone che non sono in presenza, oppure fare in modo che le riunioni siano il più accessibili possibile e utilizzare strumenti digitali interattivi per promuovere l’inclusione durante i “face to face” di gruppo.

Insomma, la buona notizia è che con un po’ di allenamento e pratica possiamo essere più inclusivi in modo più consapevole. La diversità evolve e con essa anche il professionista, che ha l’opportunità per cambiare davvero sul campo le cose.

Sono molto orgoglioso di affermare per esempio che la mia Accenture sul fronte dell’inclusione e della diversità si sta muovendo da tempo con azioni concrete e autentiche. Sviluppa perfezionamenti in aree d’interesse che riguardano genere, etnia, LBGTQ+, religione, persone con disabilità e diversità interculturale, entro il 2025, vogliamo raggiungere il bilanciamento 50:50 in termini di genere.

L’Italia contribuisce alla sfida con un’agenda programmatica volta ad aumentare l’attuale gender mix: la presenza femminile in Accenture ha avuto negli ultimi anni un costante incremento.  

Se vogliamo avanzare verso team di lavoro veramente inclusivi, dobbiamo implementare i processi e gli strumenti necessari per monitorare e misurare i nostri progressi inclusivi come professionisti e membri di un team.

C’è ancora molta strada da fare prima che un team possa dirsi davvero inclusivo, per ora con il mio team abbiamo mosso solo i primi passi ma il cammino è lungo e ci accomuna tutti.

E se c’è uno strumento che può aiutarci a raggiungere la nostra meta più velocemente, di sicuro è quello della comunicazione.

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Armando Barone Armando Barone
Ufficialmente il mio percorso nel mondo della comunicazione inizia nel 1999, ma ho sempre creduto di averlo iniziato molto tempo prima. Ed esattamente nel 1980 quando il terribile terremoto dell’Irpinia che aveva devastato la mia città Napoli, fu per il bambino di allora assetato di sorprese, l’occasione per ritrovare tra le mura fogli di giornale. Una vera magia! Le pareti crollate rivelavano pagine sovrapposte di quotidiani che una volta si usavano per favorire l’aderenza della carta da parato.