In un momento drammatico in cui il mondo viene risucchiato in una nuova spirale di violenza, tra le pieghe delle sfide senza precedenti che il nostro tempo ci presenta, l’inclusione emerge come un imperativo categorico, uno strumento indispensabile per tessere la trama di una società più equa e resiliente.

In un’epoca segnata da sfide mai viste, la fiducia va di pari passo con la crescita di una consapevolezza e di una richiesta di partecipazione da parte delle persone, che in tutto il mondo, stanno portando le loro frustrazioni e richieste nelle famiglie, nelle strade,  nei luoghi di lavoro e, ovviamente, nella vita digitale.

Emergono con forza esempi tangibili di un bisogno crescente d’inclusione, ma anche di una voglia palpabile di costruire qualcosa di nuovo, un sistema che sia parimenti alimentato – e crucialmente formato – da chi oggi viene spinto ai margini del cambiamento: le donne e i giovani.

La partecipazione diviene, dunque, la chiave maestra che apre le porte al cambiamento vero, una trasformazione che affonda le sue radici nel contributo di ciascuno.

Il valore insito in ogni individuo, quando riconosciuto e messo in rete, crea un tessuto sociale robusto e innovativo, capace di affrontare e plasmare il cambiamento, piuttosto che subirlo.

trasformazione inclusiva claudia goldin armandobarone

Donne e giovani, in particolare, rappresentano una forza vitale e propulsiva che, se inclusa e valorizzata, ha il potenziale di innescare una spirale virtuosa di rinnovamento e crescita. La loro voce, le loro idee e il loro entusiasmo sono risorse indispensabili per costruire il futuro che vogliamo: inclusivo, partecipativo e giusto.

Ad esempio,  scoprire nuove modalità di comunicazione con i giovani, aggiornando anche i nostri linguaggi, rappresenta un energico abbraccio verso una porzione sociale che sempre più spesso viene sacrificata nelle ambizioni e nelle opportunità. Avvicinarsi al mondo giovanile non significa solamente offrire opportunità, ma anche saper ascoltare, comprendere e valorizzare le aspirazioni, le idee e le competenze che essi possono esprimere.

Creare canali di dialogo autentico, spazi in cui i giovani possano sentirsi accolti, ascoltati e considerati non solo come destinatari, ma come attori proattivi, significa gettare un ponte verso il futuro, costruendo insieme la strada per un cambiamento inclusivo e partecipato, dove ognuno ha un ruolo determinante nel modellare l’orizzonte che verrà.

La scarsa inclusione della scuola verso la cultura dei giovani tende a minimizzare le aspettative nei confronti del futuro, rischiando di generare un’arida ‘assenza di desiderio’ di crescita istruttiva da parte del giovane che si sente escluso, e parallela a un ascensore sociale inceppata che priva le nuove generazioni di un futuro per cui lottare.

Questa dinamica spinge, inoltre, le generazioni precedenti a barricarsi dietro le proprie conquiste, finendo per erodere il vero valore del merito e dell’aspirazione. La chiave per invertire questa tendenza risiede nell’implementare un sistema educativo contemporaneo e autenticamente inclusivo, che promuova una cultura della partecipazione e dell’opportunità, garantendo a ogni giovane un percorso che valorizzi le proprie potenzialità e aspirazione.

In questa meditazione sulla necessità di un’inclusione sistemica, la questione della parità di genere emerge con prepotenza su due fronti nevralgici: l’ambito lavorativo e quello formativo. Parlando del contesto lavorativo, ci troviamo a giocare una partita da 28.000 miliardi di dollari, che rappresenta il valore della parità di genere nel mondo del lavoro a livello mondiale.

È fondamentale qui introdurre l’aggettivo “retribuita”, in quanto, nel calcolare il contributo femminile ai PIL nazionali, le attività di cura non retribuite, che secondo l’OCSE gravano sulle donne per un 300% in più rispetto agli uomini, restano invisibili. La bussola internazionale in questo campo è senza dubbio il Global Gender Gap Index, fornito dal World Economic Forum, che ci aggiorna annualmente sui progressi (o regressi) verso una parità di genere che non sia solo lavorativa, ma che includa anche le sfere della partecipazione politica, dell’accesso alle cure sanitarie e dell’educazione.

L’analisi, condotta su 146 Paesi nel mondo, ci ricorda quest’anno che, proseguendo su questa traiettoria, saranno necessari ancora 131 anni per colmare il divario tra uomini e donne. Gli ultimi dati, diffusi da «Forbes», segnalano che il gap retributivo di genere a livello globale ammonta al 17 per cento. Una ventenne che oggi entra a tempo pieno nel mondo del lavoro guadagnerà, lungo un percorso professionale di 40 anni, 407.760 dollari in meno di un suo collega, a fronte di ruoli e mansioni equivalenti.

Anche da un punto di vista della carriera e dei ruoli aziendali, le donne continuano a sperimentare una sofferenza palpabile rispetto agli uomini. Claudia Goldin, insignita del premio Nobel per l’Economia nel 2023 per i suoi studi sul mercato del lavoro femminile, rappresenta un faro in questo ambito. È la terza donna a ricevere il Nobel per l’Economia, la prima a vincerlo in solitaria e la prima per gli studi di genere, settore al quale ha consacrato la sua intera vita professionale.

Il suo premio non è soltanto un omaggio al notevole lavoro di una ricercatrice, ma anche un riconoscimento che l’analisi delle differenze di genere, delle cause e delle persistenti forme di una delle più acutizzate disuguaglianze, sia un argomento cardine per l’economia e una dimensione cruciale per comprendere le più rilevanti trasformazioni socio-economiche del nostro tempo.

L’accrescimento della partecipazione delle donne al mondo del lavoro rappresenta una delle metamorfosi più salienti dell’ultimo secolo. I tassi di occupazione femminili hanno più che triplicato nell’ultimo secolo, mentre quelli maschili sono rimasti sostanzialmente stabili. Nonostante ciò, al giorno d’oggi, solo il 50% delle donne nel mondo sono inserite nel mercato del lavoro, contro una percentuale dell’80% di uomini occupati. Una discrepanza che necessita non solo di analisi, ma di interventi mirati e sistematici per la costruzione di un futuro realmente paritario.

Da un punto di vista formativo in un’epoca di profonda trasformazione tecnologica, dove la necessità di manodopera specializzata in ambito scientifico e tecnico diviene cruciale per superare le sfide future, questa disparità non è solo un’iniquità sociale, ma rappresenta un autentico freno allo sviluppo e all’innovazione del nostro sistema Paese e dell’intera Unione.

Nonostante i passi avanti, nell’intero panorama dell’Unione Europea, le donne persistono a essere sottorappresentate nei percorsi formativi a impronta scientifica e tecnologica. Di fronte a una media UE di circa 21 laureati STEM per ogni 1.000 giovani tra i 20 e i 29 anni, le laureate sono soltanto 14,9, mentre il dato relativo ai maschi è quasi doppio, posizionandosi a 27,9. Un divario che si manifesta, con differenti intensità, in tutti gli stati dell’Unione.

In Italia, la media dei laureati in materie scientifiche (entrambi i sessi inclusi) è ancor più bassa, registrando un 16,4 per mille giovani residenti. La percentuale di laureati STEM maschili cresce a 19,4, mentre quella delle laureate si ferma a 13,3, evidenziando un distacco di circa 6 punti. Si tratta di una tendenza di lungo periodo che può essere invertita solo portando su scala sistemica le eccellenze spesso iper-locali che al momento produce la collaborazione pubblico- privato.

Immaginiamo per un istante un giardiniere che, volendo far prosperare il suo giardino, sceglie consapevolmente di zapparsi sui piedi, impedendo a se stesso di camminare, di prendersi cura delle piantine e, quindi, di vedere fiorire i suoi sforzi.

Metafora che trova sponda diretta con quanto accade nella nostra società quando scegliamo di trascurare l’inclusione e di non alimentarla nelle generazioni emergenti e nelle donne. Abbiamo in mano il rastrello della parità, l’acqua dell’equità e i semi della crescita economica, basterebbe far fiorire coloro che sono ancora troppo ai margini della partecipazione, per realizzare un habitat in cui l’economia e la società possano prosperare insieme, in un equilibrio sano e produttivo.

Non permettere a chiunque di accedere alle risorse, alle opportunità e ai sogni equivale a privare il terreno della nutrizione necessaria perché possano germogliare semi vigorosi e resilienti.  In uno scenario internazionale che ci vede di fronte a sfide imponenti, il coinvolgimento, la partecipazione e la condivisione di ogni singolo pezzo di terreno fertile, rappresentato da ogni individuo, diventano imperativi categorici da cui non possiamo e non dobbiamo prescindere.

Nutriamo e irrighiamo insieme il nostro giardino comune, cosicché il futuro possa sbocciare in un’esplosione di colori, talenti e opportunità, a beneficio di tutti.

Happy inclusion!

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Armando Barone Armando Barone
Ufficialmente il mio percorso nel mondo della comunicazione inizia nel 1999, ma ho sempre creduto di averlo iniziato molto tempo prima. Ed esattamente nel 1980 quando il terribile terremoto dell’Irpinia che aveva devastato la mia città Napoli, fu per il bambino di allora assetato di sorprese, l’occasione per ritrovare tra le mura fogli di giornale. Una vera magia! Le pareti crollate rivelavano pagine sovrapposte di quotidiani che una volta si usavano per favorire l’aderenza della carta da parato.
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