Motor Valley Fest 2025: alleanza tra imprese e territorio per l'innovazione

Motor Valley Fest 2025: alleanza tra imprese e territorio per l'innovazione

La settima edizione del Motor Valley Fest di Modena conclusa la settimana scorsa mi ha permesso di focalizzarmi rispetto all’importanza delle aziende sul territorio e di come l’alleanza pubblico-privato può creare eccellenza come accade nella “valle dei motori”.

Il legame dei grandi brand dell’automotive del lusso e della loro filiera con Modena è palpabile, una connessione che si basa su una missione condivisa, tanto forte che non credo sia immaginabile organizzare questo evento in un altro luogo senza svuotarlo di significato.

Persone, eccellenza, trasformazione, tecnologie, riconoscenza, sono state le parole più usate dai relatori, parole che erano azione, uno storydoing che dal passato andava al futuro senza generare alcun dubbio nell’audience.

Le aziende sono radicate nel territorio

Ascoltando storie, visioni e ambizioni, mi ha restituito una consapevolezza nitida: le aziende qui non sono semplicemente presenti, ma profondamente radicate. Non si limitano a operare sul territorio, lo abitano, lo rappresentano, ne portano avanti l’identità come parte integrante del proprio DNA. Quello che ho percepito è un senso di appartenenza raro, quasi fisico, che trasforma ogni presenza industriale in un atto culturale. Il Motor Valley Fest, in questo, è un esempio limpido di "glocalismo attivo": un evento che nasce locale, ma parla un linguaggio capace di attraversare confini. 

È il racconto di un territorio che non esporta solo prodotti, ma valori, eccellenza e visione sostenibile, con un’intensità che difficilmente si può replicare altrove.

In questo contesto così fertile, si percepisce con chiarezza quanto la co-progettazione tra pubblico e imprese private sia ormai una leva strategica, non un’opzione.

Contribuire alla costruzione di un ecosistema

Non si tratta più solo di sponsorizzare un evento, ma di contribuire attivamente alla costruzione di un ecosistema che genera valore reale e misurabile: innovazione tecnologica, investimenti che restano sul territorio, opportunità di lavoro qualificato per le nuove generazioni. In questo senso, realtà come la mia Accenture agiscono non da ospiti, ma da abilitatori sistemici: portando competenze, reti internazionali e strumenti digitali in grado di amplificare ciò che già esiste e traghettarlo nel futuro. Una partecipazione che non è presenza, ma partecipazione generativa, capace di creare impatto ben oltre il perimetro dell’evento.

Motor Valley Fest 2025: alleanza tra imprese e territorio per l'innovazione
Motor Valley Fest 2025: alleanza tra imprese e territorio per l'innovazione

Motor Valley Fest, evento collettivo

È proprio in questa logica che il Motor Valley Fest si distingue da un punto di vista comunicativo: non come semplice vetrina, ma come performance collettiva di reputazione attiva. Qui ogni brand anche attraverso i suoi CEO è chiamato a “stare in scena” non con slogan, ma con comportamenti, scelte, progetti concreti. È nei gesti, nelle partnership, nei contenuti portati sul palco — o nei prototipi esposti nei cortili — che si leggono e respirano i valori autentici delle aziende. Oggi la reputazione non si dichiara, si dimostra,  in contesti come questo lo spazio per la retorica è minimo. La forza di un’azienda si misura nella coerenza tra ciò che promette e ciò che mette in campo. Il Motor Valley Fest, da questo punto di vista, diventa una lente d’ingrandimento potente su cosa significhi davvero “essere rilevanti” nel 2025.

La trasformazione che lascia il segno

E proprio perché visibilità e coerenza oggi camminano insieme, diventa evidente come la vera trasformazione — quella che lascia il segno — non possa essere solo digitale, ma deve essere anche culturale. Tra le parole più ricorrenti durante l’evento ho sentito “tecnologie” e “persone” pronunciate con la stessa intensità: segno che l’innovazione, per essere credibile, ha bisogno di cuore e infrastruttura insieme. In questo equilibrio sottile si inserisce il contributo delle aziende partecipanti, che non portano solo soluzioni digitali, ma una visione integrata fatta di competenze, attenzione alla sostenibilità, e crescita della leadership interna ed esterna. Non si tratta di spingere la trasformazione: si tratta di accompagnarla, con la consapevolezza che ogni accelerazione ha senso solo se inclusiva, formativa e umana.

La sostenibilità abilita il cambiamento

E accompagnare davvero la trasformazione oggi significa anche assumersi la responsabilità del suo impatto. La sostenibilità, in questo scenario, non è un’appendice né una moda da inserire nei panel: è la metrica profonda del cambiamento. L’ho vista emergere non solo nei discorsi, ma nelle scelte visibili di molte aziende: dalla mobilità elettrica ai materiali riciclati, dalla progettazione circolare all’educazione dei giovani talenti verso un’industria più consapevole. La mia Accenture, in particolare, si muove in questa direzione con una visione che integra ambiente, tecnologia e inclusione, perché sa che un ecosistema è davvero tale solo quando la crescita è condivisa, misurabile e sostenibile nel tempo. In un contesto così, la sostenibilità smette di essere narrativa e diventa cultura operativa.

Ecosistema attivo: imprese, istituzioni, comunità

Ci tengo a concludere condividendo che da questo evento  vale la pena allargare lo sguardo. Ciò che accade a Modena non è solo un evento di settore, ma un esempio di come un territorio possa diventare ecosistema attivo, in cui imprese, istituzioni e comunità si riconoscono e agiscono insieme. La Motor Valley dimostra che quando c’è una missione condivisa, l’identità non è nostalgia: è motore di innovazione viva. È un invito, sottotraccia ma potente, per altri settori del Made in Italy— dall’agroalimentare al turismo, dall’energia alla formazione — a domandarsi se il proprio racconto poggia ancora su narrazioni esterne o se ha trovato, invece, la forza di esprimersi attraverso fatti, alleanze e visioni incarnate.

Forse il vero lascito di eventi come questo non è la celebrazione, ma la chiamata a costruire contesti dove le parole — persone, eccellenza, trasformazione, riconoscenza — non restano nei discorsi, ma prendono forma. Camminano. E lasciano una traccia.


Quando lo sport riesce ad accendere il futuro

Quando lo sport riesce ad accendere il futuro

I Greci capirono che lo sport è una leva strategica per unire il popolo intorno ad una missione e creare lo “spirito del tempo”. I romani seppero cogliere questa intuizione ed elevarla nella strategia di gestione di un’area geografica che andava dall’Italia, all’Africa, all’Inghilterra fino al Medioriente creando un pilastro della cultura che ancora oggi riempie la nostra quotidianità.

Lo sport come leva di unione sociale

Lo sport, quindi, non è solo un fatto di trofei. Il campionato di calcio vinto dal Napoli, cattura l’occhio del mondo per la capacità del popolo partenopeo di festeggiare, dai più commentatori considerata “unica”, ma per coglierne il reale valore è nostra opinione bisogna guardare con maggiore attenzione, perché come abbiamo detto lo sport è molto di più 11 giovani talentosi che corrono dietro ad una palla.

La rinascita dal fallimento a modello

Facciamo un passo indietro. La società sportiva Calcio Napoli nel 2004 è fallita. Quando furono portati i libri in tribunale un imprenditore la comprò. Questo signore si chiama Aurelio De Laurentis, l’attuale presidente del club. Come è possibile che un imprenditore senza esperienza nel calcio abbia in poco più di due lustri portato un club fallito ai vertici dello sport nazionale mettendo in fila club blasonati come, Milan, Juventus e Inter?

A nostro parere è stata la capacità di creare un progetto fondato su una missione chiara, “Vincere, vincere e rivincere – dichiara De Laurentis” , basata sui valori del territorio e in grado di creare un nuovo “spirito del tempo”.  I napoletani, tradizionalmente scaramantici, hanno manifestato chiaramente l’adesione a questo nuovo “sentire comune” arrivando a tatuarsi addosso il simbolo del quarto scudetto nonostante la sfida aperta dell’Inter conclusasi solo all’ultima partita disponibile.  Un capolavoro di comunicazione purpose driven.

Quando lo sport riesce ad accendere il futuro
Quando lo sport riesce ad accendere il futuro

Sostenibilità e governance: un modello da studiare

Ma gli economics? De Laurentis nuovo mecenate che ad un certo punto scompare lasciando la società sul lastrico finanziario? Nemmeno per sogno. Il progetto, forte dei propri valori, ha alla sua base la sostenibilità. I conti del club sono in ordine e l’attrattività del brand – un club che gioca in uno stadio che De Laurentis ha voluto fosse chiamato Diego Armando Maradona, un contemporaneo dio dell’Olimpo - , unita ad una capacità di scouting e valorizzazione del talento che pochi possono vantare, ha reso possibile la vittoria del quarto titolo nonostante la rinuncia ai calciatori di maggiore talento, Victor Osimhen e Khvicha Kvaratskhelia bravi con il pallone tra i piedi, ma non più allineati alla “missione” della dirigenza.

Una vittoria senza precedenti

Non stupisce quindi l’unicità del trionfo del Napoli, considerato ancor più sbalorditivo perché per la prima volta nel campionato di calcio italiano (la formula attuale risale al 1929) una squadra si è affermata dopo un precedente campionato dove si era piazzata solo decima. Sicuramente è stata determinante la figura dell’allenatore ma la scelta del preparatissimo Antonio Conte è stata fondata sui valori e di conseguenza vincente.

Così come i romani forgiarono una missione di popolo in grado di guidare anche l’economia, anche Napoli sta vivendo un momento di entusiasmo che crea indotto economico, nonostante un tessuto socio-economico distante dai migliori modelli occidentali.

Lo sport è una leva di trasformazione

Napoli ha vinto ancora. Era già accaduto nel 2023 quando un’intera economia urbana — ristorazione, trasporti, hotellerie — trasse beneficio dal trionfo. Ma soprattutto, un’intera comunità si riconobbe nel successo.

Lo sport è una leva strutturale di trasformazione, così come le Olimpiadi di Barcellona del 1992 hanno rilanciato prima la città e poi la Spagna, chissà che questa vittoria senza precedenti del Napoli non aiuti il Paese a reinventarsi sulla forza di una missione condivisa.

Happy Sport!


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Multinazionali made in Italy tra opportunità e successo: il caso Illy Caffè

Le multinazionali di quell’ampio comparto definito Made in Italy rappresentano una forza silenziosa ma estremamente dinamica all'interno dell'ecosistema globale delle imprese. Queste aziende, pur avendo dimensioni contenute rispetto ai giganti del mercato, giocano un ruolo fondamentale almeno su tre livelli: innovazione, crescita economica e competitività.

Operando in segmenti di mercato ad alta specializzazione, riescono a posizionarsi come leader nei loro settori, sfruttando al massimo la flessibilità e la capacità di adattarsi rapidamente alle mutevoli esigenze del mercato, spesso con un livello tecnologico superiore alla media del settore.

Il ruolo delle multinazionali nell'ecosistema economico

La loro importanza nell'ecosistema economico non va affatto sottovalutata. Queste aziende, centrate su prodotti di alta qualità, sono capaci di catalizzare innovazione non solo a livello tecnologico, ma anche in termini di modelli di business e strategie di comunicazione. Esse possono contribuire a muovere intere categorie merceologiche grazie alle loro iniziative. Inoltre, contribuiscono in modo sostenibile e significativo alla crescita delle economie locali, generando posti di lavoro e promuovendo una cultura imprenditoriale orientata alla qualità e alla vicinanza alle persone.

Grazie alla loro capacità di internazionalizzarsi pur mantenendo una forte identità locale, le multinazionali del Made in Italy fungono da ponte tra economie locali e mercati globali, arricchendo l'intero ecosistema con una visione imprenditoriale unica.

Parlando in questo articolo di multinazionali del Made in Italy, non posso non riferirmi a un’azienda che è anche motivo di orgoglio nazionale: il caso Illy.

Multinazionali di successo, il caso Illy Caffè

Illy Caffè è riuscita a costruire un brand mondiale grazie a una strategia di comunicazione raffinata e coerente. Pur operando in un mercato globale dominato da enormi corporation, Illy ha saputo differenziarsi grazie a un prodotto eccellente e a una comunicazione incentrata su qualità, arte e sostenibilità, conquistando così un posto di rilievo tra i brand premium price. Questo caso di studio esplora come la comunicazione abbia permesso a Illy di trasformarsi da azienda familiare a brand internazionale, esportando nel mondo non solo un prodotto, ma anche un’imprenditoria di eccellenza.

Fondata nel 1933 a Trieste, Illy Caffè ha costruito una reputazione per l'eccellenza del suo prodotto, rivolgendosi a un mercato dell’esperienza e a consumatori che cercano momenti di consumo di alta qualità. Partendo da un mercato italiano altamente frammentato, l’azienda ha adottato una missione che l’ha portata a promuovere nel mondo non solo il prodotto, ma l'intera esperienza del caffè come forma d'arte.

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La sfida delle multinazionali Made in Italy

La sfida, comune a molte multinazionali del Made in Italy, è stata quella di comunicare efficacemente il proprio valore unico in un mercato internazionale dominato da grandi marchi con risorse finanziarie molto superiori. L'azienda doveva trovare il modo di posizionarsi come leader di qualità in un contesto complesso e competitivo.

I pilastri della Comunicazione

E così è stato! La comunicazione Illy Caffè ha costruito una strategia che si è basata su tre pilastri fondamentali:

  1. Branding basato sull'arte e la cultura: Illy ha collegato il suo brand all'arte e alla cultura, collaborando con artisti internazionali per creare collezioni di tazzine e packaging unici. Queste iniziative hanno posizionato il brand come sinonimo di stile e creatività, rendendo il prodotto non solo un bene di consumo, ma anche un oggetto di design e collezione.
  2. Forte impegno sulla sostenibilità: La comunicazione di Illy è fortemente incentrata sul suo impegno per la sostenibilità e l'eticità della filiera del caffè. L'azienda ha raccontato in modo trasparente il suo processo di approvvigionamento diretto dai coltivatori, sottolineando come la qualità del prodotto sia legata a pratiche agricole sostenibili. Questo ha rafforzato il legame con un pubblico sensibile ai temi ambientali e sociali.
  3. Espansione digitale e storytelling visivo: Illy ha utilizzato il digitale in modo strategico per raggiungere un pubblico globale, creando contenuti visivi di alta qualità e utilizzando piattaforme social per raccontare la storia del brand. Attraverso video, immagini e racconti dei luoghi di produzione, l'azienda ha creato un legame emotivo con i consumatori, facendo leva sul concetto di autenticità. 

L'importanza della strategia

Risultati? Grazie a una strategia di comunicazione ben definita, Illy Caffè è riuscita a diventare un marchio riconosciuto a livello internazionale. La sua presenza globale è cresciuta significativamente, con una distribuzione in oltre 140 paesi e una rete di caffetterie che contribuisce a consolidare il brand e i ricavi. Illy è stata anche premiata per il suo impegno verso la sostenibilità, ottenendo certificazioni e riconoscimenti che hanno ulteriormente rafforzato la sua reputazione.

Questo caso dimostra che, per una multinazionale del Made in Italy, una comunicazione ben curata e focalizzata su valori distintivi può fare la differenza nella competizione globale. Illy, guidata da imprenditori illuminati, ha saputo raccontare una storia coerente e affascinante, legando il suo prodotto a concetti di arte, qualità e sostenibilità. Ha costruito così un brand che va oltre il caffè e che continua a crescere grazie alla sua capacità di comunicare in modo autentico e differenziato.

[L'immagine di copertina è stata generata usando un modello di intelligenza artificiale]

 


esg sostenibilità consumatori armandobarone

Le scelte dei consumatori e la spinta verso la sostenibilità

In un contesto in cui il 7 consumatori su 10 a livello mondiale affermano di essere disposti a modificare le proprie abitudini per minimizzare l'impatto ambientale, e dove almeno metà dei loro acquisti recenti sono stati orientati ai principi di sostenibilità, emerge chiaramente come la percezione dei criteri ESG sia diventata negli anni patrimonio delle persone.

I consumatori in tutti i settori avvertono il valore dei criteri di sostenibilità e li considerano un aspetto fondamentale nella valutazione e selezione delle aziende con cui interagiscono. 

ESG e la sfida da fronteggiare

Come potremmo aspettarci indifferenza da un cliente consapevole che ad esempio l'impatto ambientale può compromettere direttamente la sua salute o il proprio posto di lavoro?

Stiamo assistendo alla più grande sfida che governi e comunità sono chiamati a fronteggiare. È fondamentale ammettere che, sebbene i costi della transizione energetica siano inferiori ai benefici a lungo termine, questi superano le risorse finanziarie attualmente allocate e che i benefici nel breve non saranno omogenei. Appare necessaria una leadership, pubblica e privata, che sappia imprimere un’accelerazione coinvolgendo le comunità anche attraverso una comunicazione trasparente, semplice e improntata al rigore scientifico.

Emerge quindi un aspetto culturale e educativo che le aziende non possono ignorare e che può rappresentare una leva di vantaggio competitivo.

esg sostenibilità consumatori armandobarone

Cambia il rapporto tra aziende e consumatori

L'attenzione crescente verso le politiche ESG trasforma il modo in cui le persone valutano le aziende, i loro prodotti e servizi . In un'epoca definita da nuove esigenze, non è sorprendente che ogni cliente voglia esercitare il proprio diritto di scegliere consapevolmente come e con chi spendere il proprio denaro. Una dinamica che sempre più sarà centrale per le scelte dei grandi investitori.

Questa evoluzione nelle aspettative dei clienti segna un punto di svolta per le aziende in ogni settore. Ora più che mai, è essenziale che le imprese non solo adottino pratiche sostenibili, ma anche che le integrino profondamente nei loro modelli di business, nei processi di produzione e nelle strategie di mercato.

È chiaro che il cammino verso la sostenibilità è tanto impegnativo quanto necessario. Le leadership devono non solo rispondere alle esigenze immediate, ma anche anticipare i cambiamenti futuri, garantendo che le loro operazioni contribuiscano positivamente alla società. Come gestire le esigenze di breve con gli obiettivi di lungo periodo è forse insieme al reperimento delle ingenti risorse in punto maggiormente critico. È nostra convinzione che l’unico modo per raggiungere il consenso è quello di basare il coinvolgimento degli stakeholder su una comunicazione inclusiva e rigorosa.

Happy ESG!!!

 


Purpose in action armandobarone_TW

Il modello Olivetti può insegnarci ad attivare il nostro Purpose

Net Zero è il new normal. Il numero di Paesi con impegni legali net zero è raddoppiato dal 2020, arrivando a coprire il 20% del PIL mondiale (rispetto al 6% di solo due anni fa). Qualitativamente il dato è ancora più interessante: quasi 700 delle 2.000 aziende più grandi del mondo hanno dichiarato di passare ad una governace net zero.

Per  guidare il progresso verso questi obiettivi, le aziende stanno lanciando nuovi strumenti, guide, formazione, academy per aiutare i dipendenti a lavorare e vivere in modo più sostenibile. Iniziative che dimostrano l’intenzione di incentivare le persone a creare un cambiamento dall'interno e fornire loro gli strumenti e le conoscenze di cui hanno bisogno.  Su larga scala il coinvolgimento dei dipendenti nel perseguimento dei parametri Net Zero potrebbe diventare un potente alleato per contrastare il trust gap e promuovere una forza lavoro più coinvolta.

La domanda che dovremmo farci forse è: in che modo renderemo i dipendenti essenziali per una strategia di sostenibilità e costruiremo una concreta cultura professionale del Purpose?

Come talvolta accade la soluzione potremmo averla in casa. Si tratta dell’impostazione olivettiana d’impresa intesa come agente di sviluppo della comunità locale, responsabile anche nei confronti del territorio e della sua bellezza. Olivetti è stato un pioniere della socio-sostenibilità. Convinto del fatto che la fabbrica, chiedendo molto ai suoi dipendenti, dovesse restituire altrettanto, pensò ad un modello di industria che eliminasse, dall'architettura ai rapporti con la forza lavoro, i vecchi modelli. In passato ho avuto la fortuna di lavorare ad un progetto di restituzione di una fabbrica ideata negli anni ‘60 da Adriano Olivetti ed ho così potuto cogliere “sul campo” la ragione che ha spinto gli amici americani nel prendere a modello proprio il pensiero di Olivetti per costruire la Silicon Valley.

Purpose in action armandobarone_TW

Infatti fu lui che eliminò architettonicamente la gerarchia piramidale, introdusse la produzione culturale all'interno della sua azienda e si interessò dell'aspetto sociale del territorio. E qui che dobbiamo prendere spunto dall'imprenditore di Ivrea e capire che non ci possono essere realtà sostenibili senza una cultura della sostenibilità nella governance dell’azienda da cui derivano azioni concrete. La sostenibilità deve essere intesa come un fattore di produzione interno, una forza che si propaga verso l’esterno ed influenza tutto e tutti. Il ruolo  esercitato dai dipendenti non è mai stato così importante come oggi: non è un caso che quando parliamo di purpose le persone preferiscono sempre di più lavorare per aziende in linea con i propri valori: 7 giovani su 10 affermano di essere più propensi ad accettare un lavoro presso un'organizzazione sostenibile, la metà di questi si dichiara disposto a considerare anche uno stipendio più basso a fronte di un organizzazione in cui riconosce i propri valori.

Guardando anche al mondo delle competenze e del futuro dei giovani in azienda, le aziende, il sistema scolastico e universitario stanno convergendo per creare skill ESG. Molto è generato dal bisogno di professionisti legati agli impegni provenienti dalla transizione energetica ma sempre più sta maturando un approccio che vede nelle competenze legate alla sostenibilità un denominatore comune utile a tutti, non solo agli specialisti.

Riscoprire il modello olivettiano, combinarlo con i moderni criteri ESG, accelerare la trasformazione del sistema d’istruzione attraverso l’adozione delle tecnologie abilitanti potrebbe consentirci di fare quel passo in avanti a vantaggio di tutto l’ecosistema, a partire dai nostri giovani. È l’ora di essere ambiziosi, del resto, chi avrebbe immaginato che la Silicon Valley sarebbe diventata la terra delle più potenti aziende del pianeta?


gen z sostenibilità

La Generazione Z sempre più attenta alla sostenibilità

Siamo certi che la necessità di trasformare il modello verso la sostenibilità sia un tema che unisce le generazioni? Siamo certi che la generazione Z di Greta Thunberg rappresenti il propulsore di questa grande rivoluzione per vivere in una società che finalmente si riconcili con i ritmi del mondo per diventare al contempo più evoluta e armonica?

Oppure stiamo provando ad imprimere un cambiamento senza garantirci di avere on board chi di fatto dovrà trainarla, e pagarla, nei prossimi decenni?

Una survey commissionata da Enel Green Power e realizzata dall’Istituto Piepoli che analizza la Gen Z ha un output molto interessante.

L’analisi mostra che tra i giovani esiste una fascia di “paladini dell’ambiente” - il 19% degli intervistati - che dicono di fare sforzi concreti per salvaguardare il pianeta, preferiscono pagare di più per prodotti "sostenibili" e partecipano a manifestazioni di piazza. Ci sono anche i “virtuosi” - il 25% - attenti a non sprecare elettricità, acqua, cibo e a fare la raccolta differenziata dei rifiuti.

Ma i due gruppi insieme rappresentano ancora una minoranza, pur se consistente, sul totale dei giovani intervistati.

La Gen Z è la prima generazione nativa digitale e costituisce quasi un terzo della popolazione globale, sono quindi il segmento demografico più grande. Cresciuti durante il tumulto di una crisi finanziaria e della guerra al terrorismo, sullo sfondo della crescente digitalizzazione e della crisi climatica, la Gen Z è caratterizzata da un insieme unico di valori e ambizioni. Ma questo va oltre il fatto che possano essere autentici interpreti di un mondo più sostenibile.

Con la crisi in Ucraina aumentano anche le tensioni geopolitiche, i giovani, sempre dalla survey di Enel Green Power, sembrano prestare poca attenzione al legame tra sostenibilità ed energia: solo il 16% lo indica. E sempre il 16% dice di voler approfondire la questione della transizione energetica (il 14% quella della decarbonizzazione) mentre il 40% pensa soprattutto al tema generale del cambiamento climatico.

Certamente una parte della Gen Z è una forza trainante in grado di modellare la cultura e i comportamenti, ma questa minoranza saprà includere la maggioranza oppure rischia l’effetto torre d’Avorio con il possibile risultato di trasformare anche la sostenibilità in un tema divisivo?

Ancora credo che un ruolo decisivo lo debba interpretare il mondo della comunicazione che deve ancora trovare una metrica condivisa con questa nuova generazione, oscillando tra il disimpegno e l’esaltazione dei giovani ma di fatti abdicando al fondamentale ruolo di comunicare in maniera inclusiva.


armando barone sport business

Sport e business, verso un modello più sostenibile

Lo sport fa bene alla salute e al business. Considerando la filiera (Aziende, società sportive e associazioni) il settore da occupazione a 389 mila persone, generando benefici sociali ed economici di rilievo. Secondo una recente analisi di Banca Ifis il sistema sport Italia produce un giro d’affari di 96 miliardi, incide del 3,6% sul PIL e può impattare in futuro sulla ricchezza nazionale.

Gli operatori “core”, sono le associazioni e le società sportive dilettantistiche e professionistiche, gli enti di promozione sportiva, le federazioni e le società di gestione degli impianti. Sono ben circa 35 milioni gli italiani che seguono e si interessano ad almeno uno sport, e 15,5 milioni gli italiani che lo praticano regolarmente. Il calcio è lo sport più praticato in Italia (34% tra gli over 18) ed è anche quello che genera maggiori volumi finanziari. È proprio il calcio ad avere di fronte a sé una sfida importante.

A partire dalla stagione 2023-24 i nuovi parametri di sostenibilità e stabilità fissati da Nyon impongono alle società di serie A di correggere gli squilibri ponderando i costi sui ricavi già a partire dalla prossima stagione in una percentuale del 90%. A regime, nella stagione 2025-26, il ratio dovrà essere del 70%. Esistono quindi due strade che possono avere effetti ben diversi: tagliare i costi oppure aumentare i ricavi.

armando barone sport business

Agire sui costi rappresenta un elemento di rischio per la competitività del settore su cui si regge il Sistema sport italiano. Metteremo quindi a repentaglio non solo la qualità dello spettacolo ma un business che vale il 3.6% del PIL. L’unica strada è quindi lavorare sui ricavi e di conseguenza accelerare decisamente sugli investimenti a partire dagli stadi.

Anche per il calcio quindi si tratta di dotarsi di un nuovo modello di business fondato sulla sostenibilità.

Stiamo entrando in una nuova era del business dello sport? Me lo auguro, basta solo pensare alla stima dei benefici: ogni milione di euro di investimenti pubblici nello sport attiva quasi 9 milioni di risorse private che generano oltre 20 milioni di ricavi. E consideriamo anche che lo sport non è solo agonismo ma anche attrezzature, tecnologie, materiali, design, moda e alimentazione.

Lo sport crea valore sociale ed economico, trasformarlo è non solo possibile ma conveniente.


Armando Barone

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