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Le scelte dei consumatori e la spinta verso la sostenibilità

In un contesto in cui il 7 consumatori su 10 a livello mondiale affermano di essere disposti a modificare le proprie abitudini per minimizzare l'impatto ambientale, e dove almeno metà dei loro acquisti recenti sono stati orientati ai principi di sostenibilità, emerge chiaramente come la percezione dei criteri ESG sia diventata negli anni patrimonio delle persone.

I consumatori in tutti i settori avvertono il valore dei criteri di sostenibilità e li considerano un aspetto fondamentale nella valutazione e selezione delle aziende con cui interagiscono. 

ESG e la sfida da fronteggiare

Come potremmo aspettarci indifferenza da un cliente consapevole che ad esempio l'impatto ambientale può compromettere direttamente la sua salute o il proprio posto di lavoro?

Stiamo assistendo alla più grande sfida che governi e comunità sono chiamati a fronteggiare. È fondamentale ammettere che, sebbene i costi della transizione energetica siano inferiori ai benefici a lungo termine, questi superano le risorse finanziarie attualmente allocate e che i benefici nel breve non saranno omogenei. Appare necessaria una leadership, pubblica e privata, che sappia imprimere un’accelerazione coinvolgendo le comunità anche attraverso una comunicazione trasparente, semplice e improntata al rigore scientifico.

Emerge quindi un aspetto culturale e educativo che le aziende non possono ignorare e che può rappresentare una leva di vantaggio competitivo.

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Cambia il rapporto tra aziende e consumatori

L'attenzione crescente verso le politiche ESG trasforma il modo in cui le persone valutano le aziende, i loro prodotti e servizi . In un'epoca definita da nuove esigenze, non è sorprendente che ogni cliente voglia esercitare il proprio diritto di scegliere consapevolmente come e con chi spendere il proprio denaro. Una dinamica che sempre più sarà centrale per le scelte dei grandi investitori.

Questa evoluzione nelle aspettative dei clienti segna un punto di svolta per le aziende in ogni settore. Ora più che mai, è essenziale che le imprese non solo adottino pratiche sostenibili, ma anche che le integrino profondamente nei loro modelli di business, nei processi di produzione e nelle strategie di mercato.

È chiaro che il cammino verso la sostenibilità è tanto impegnativo quanto necessario. Le leadership devono non solo rispondere alle esigenze immediate, ma anche anticipare i cambiamenti futuri, garantendo che le loro operazioni contribuiscano positivamente alla società. Come gestire le esigenze di breve con gli obiettivi di lungo periodo è forse insieme al reperimento delle ingenti risorse in punto maggiormente critico. È nostra convinzione che l’unico modo per raggiungere il consenso è quello di basare il coinvolgimento degli stakeholder su una comunicazione inclusiva e rigorosa.

Happy ESG!!!

 


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Il modello Olivetti può insegnarci ad attivare il nostro Purpose

Net Zero è il new normal. Il numero di Paesi con impegni legali net zero è raddoppiato dal 2020, arrivando a coprire il 20% del PIL mondiale (rispetto al 6% di solo due anni fa). Qualitativamente il dato è ancora più interessante: quasi 700 delle 2.000 aziende più grandi del mondo hanno dichiarato di passare ad una governace net zero.

Per  guidare il progresso verso questi obiettivi, le aziende stanno lanciando nuovi strumenti, guide, formazione, academy per aiutare i dipendenti a lavorare e vivere in modo più sostenibile. Iniziative che dimostrano l’intenzione di incentivare le persone a creare un cambiamento dall'interno e fornire loro gli strumenti e le conoscenze di cui hanno bisogno.  Su larga scala il coinvolgimento dei dipendenti nel perseguimento dei parametri Net Zero potrebbe diventare un potente alleato per contrastare il trust gap e promuovere una forza lavoro più coinvolta.

La domanda che dovremmo farci forse è: in che modo renderemo i dipendenti essenziali per una strategia di sostenibilità e costruiremo una concreta cultura professionale del Purpose?

Come talvolta accade la soluzione potremmo averla in casa. Si tratta dell’impostazione olivettiana d’impresa intesa come agente di sviluppo della comunità locale, responsabile anche nei confronti del territorio e della sua bellezza. Olivetti è stato un pioniere della socio-sostenibilità. Convinto del fatto che la fabbrica, chiedendo molto ai suoi dipendenti, dovesse restituire altrettanto, pensò ad un modello di industria che eliminasse, dall'architettura ai rapporti con la forza lavoro, i vecchi modelli. In passato ho avuto la fortuna di lavorare ad un progetto di restituzione di una fabbrica ideata negli anni ‘60 da Adriano Olivetti ed ho così potuto cogliere “sul campo” la ragione che ha spinto gli amici americani nel prendere a modello proprio il pensiero di Olivetti per costruire la Silicon Valley.

Purpose in action armandobarone_TW

Infatti fu lui che eliminò architettonicamente la gerarchia piramidale, introdusse la produzione culturale all'interno della sua azienda e si interessò dell'aspetto sociale del territorio. E qui che dobbiamo prendere spunto dall'imprenditore di Ivrea e capire che non ci possono essere realtà sostenibili senza una cultura della sostenibilità nella governance dell’azienda da cui derivano azioni concrete. La sostenibilità deve essere intesa come un fattore di produzione interno, una forza che si propaga verso l’esterno ed influenza tutto e tutti. Il ruolo  esercitato dai dipendenti non è mai stato così importante come oggi: non è un caso che quando parliamo di purpose le persone preferiscono sempre di più lavorare per aziende in linea con i propri valori: 7 giovani su 10 affermano di essere più propensi ad accettare un lavoro presso un'organizzazione sostenibile, la metà di questi si dichiara disposto a considerare anche uno stipendio più basso a fronte di un organizzazione in cui riconosce i propri valori.

Guardando anche al mondo delle competenze e del futuro dei giovani in azienda, le aziende, il sistema scolastico e universitario stanno convergendo per creare skill ESG. Molto è generato dal bisogno di professionisti legati agli impegni provenienti dalla transizione energetica ma sempre più sta maturando un approccio che vede nelle competenze legate alla sostenibilità un denominatore comune utile a tutti, non solo agli specialisti.

Riscoprire il modello olivettiano, combinarlo con i moderni criteri ESG, accelerare la trasformazione del sistema d’istruzione attraverso l’adozione delle tecnologie abilitanti potrebbe consentirci di fare quel passo in avanti a vantaggio di tutto l’ecosistema, a partire dai nostri giovani. È l’ora di essere ambiziosi, del resto, chi avrebbe immaginato che la Silicon Valley sarebbe diventata la terra delle più potenti aziende del pianeta?


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La Generazione Z sempre più attenta alla sostenibilità

Siamo certi che la necessità di trasformare il modello verso la sostenibilità sia un tema che unisce le generazioni? Siamo certi che la generazione Z di Greta Thunberg rappresenti il propulsore di questa grande rivoluzione per vivere in una società che finalmente si riconcili con i ritmi del mondo per diventare al contempo più evoluta e armonica?

Oppure stiamo provando ad imprimere un cambiamento senza garantirci di avere on board chi di fatto dovrà trainarla, e pagarla, nei prossimi decenni?

Una survey commissionata da Enel Green Power e realizzata dall’Istituto Piepoli che analizza la Gen Z ha un output molto interessante.

L’analisi mostra che tra i giovani esiste una fascia di “paladini dell’ambiente” - il 19% degli intervistati - che dicono di fare sforzi concreti per salvaguardare il pianeta, preferiscono pagare di più per prodotti "sostenibili" e partecipano a manifestazioni di piazza. Ci sono anche i “virtuosi” - il 25% - attenti a non sprecare elettricità, acqua, cibo e a fare la raccolta differenziata dei rifiuti.

Ma i due gruppi insieme rappresentano ancora una minoranza, pur se consistente, sul totale dei giovani intervistati.

La Gen Z è la prima generazione nativa digitale e costituisce quasi un terzo della popolazione globale, sono quindi il segmento demografico più grande. Cresciuti durante il tumulto di una crisi finanziaria e della guerra al terrorismo, sullo sfondo della crescente digitalizzazione e della crisi climatica, la Gen Z è caratterizzata da un insieme unico di valori e ambizioni. Ma questo va oltre il fatto che possano essere autentici interpreti di un mondo più sostenibile.

Con la crisi in Ucraina aumentano anche le tensioni geopolitiche, i giovani, sempre dalla survey di Enel Green Power, sembrano prestare poca attenzione al legame tra sostenibilità ed energia: solo il 16% lo indica. E sempre il 16% dice di voler approfondire la questione della transizione energetica (il 14% quella della decarbonizzazione) mentre il 40% pensa soprattutto al tema generale del cambiamento climatico.

Certamente una parte della Gen Z è una forza trainante in grado di modellare la cultura e i comportamenti, ma questa minoranza saprà includere la maggioranza oppure rischia l’effetto torre d’Avorio con il possibile risultato di trasformare anche la sostenibilità in un tema divisivo?

Ancora credo che un ruolo decisivo lo debba interpretare il mondo della comunicazione che deve ancora trovare una metrica condivisa con questa nuova generazione, oscillando tra il disimpegno e l’esaltazione dei giovani ma di fatti abdicando al fondamentale ruolo di comunicare in maniera inclusiva.


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Sport e business, verso un modello più sostenibile

Lo sport fa bene alla salute e al business. Considerando la filiera (Aziende, società sportive e associazioni) il settore da occupazione a 389 mila persone, generando benefici sociali ed economici di rilievo. Secondo una recente analisi di Banca Ifis il sistema sport Italia produce un giro d’affari di 96 miliardi, incide del 3,6% sul PIL e può impattare in futuro sulla ricchezza nazionale.

Gli operatori “core”, sono le associazioni e le società sportive dilettantistiche e professionistiche, gli enti di promozione sportiva, le federazioni e le società di gestione degli impianti. Sono ben circa 35 milioni gli italiani che seguono e si interessano ad almeno uno sport, e 15,5 milioni gli italiani che lo praticano regolarmente. Il calcio è lo sport più praticato in Italia (34% tra gli over 18) ed è anche quello che genera maggiori volumi finanziari. È proprio il calcio ad avere di fronte a sé una sfida importante.

A partire dalla stagione 2023-24 i nuovi parametri di sostenibilità e stabilità fissati da Nyon impongono alle società di serie A di correggere gli squilibri ponderando i costi sui ricavi già a partire dalla prossima stagione in una percentuale del 90%. A regime, nella stagione 2025-26, il ratio dovrà essere del 70%. Esistono quindi due strade che possono avere effetti ben diversi: tagliare i costi oppure aumentare i ricavi.

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Agire sui costi rappresenta un elemento di rischio per la competitività del settore su cui si regge il Sistema sport italiano. Metteremo quindi a repentaglio non solo la qualità dello spettacolo ma un business che vale il 3.6% del PIL. L’unica strada è quindi lavorare sui ricavi e di conseguenza accelerare decisamente sugli investimenti a partire dagli stadi.

Anche per il calcio quindi si tratta di dotarsi di un nuovo modello di business fondato sulla sostenibilità.

Stiamo entrando in una nuova era del business dello sport? Me lo auguro, basta solo pensare alla stima dei benefici: ogni milione di euro di investimenti pubblici nello sport attiva quasi 9 milioni di risorse private che generano oltre 20 milioni di ricavi. E consideriamo anche che lo sport non è solo agonismo ma anche attrezzature, tecnologie, materiali, design, moda e alimentazione.

Lo sport crea valore sociale ed economico, trasformarlo è non solo possibile ma conveniente.