La transizione energetica ci sta insegnando il futuro
E se vi dicessi che l’Italia può diventare indipendente dal gas straniero entro 3 anni? Capisco che mentre si osserva la strepitosa bolletta da pagare o semplicemente si sta facendo il pieno all’automobile può risultare una provocazione.
Invece secondo uno studio Accenture – Agici è uno scenario assolutamente fattibile. La soluzione sta in un grande impegno che tutto l’ecosistema Paese dovrebbe prendere per accelerare l’installazione di fonti rinnovabili portandola a 20 GW/anno, incrementare la produzione di biometano a 8 Bcm, aumentare l’efficienza energetica dall’ attuale 1% a 1.5% all’anno e migliorare la produzione nazionale di gas.
E’ difficile? Assolutamente ma non impossibile. I benefici di uno sforzo collettivo in questo senso sarebbero enormi. In termini macro e microeconomici ma anche di prestigio del nostro Paese che da diversi decenni fa fatica a stare al tavolo che conta dei paesi avanzati. Ci sarebbe inoltre un grandissimo contributo al tema dei temi: il cambiamento climatico. La battaglia per fermare il “disastro climatico” come l’ha definito Bill Gates, è cinta d’assedio tra la pandemia, che ancora mostra qualche picco, la guerra in Ucraina e il correlato rischio geopolitico che ne consegue.

Ma non bisogna perdere la bussola perché ogni rallentamento dalla traiettoria del raggiungimento dell’obiettivo di emettere zero Co2 ci avvicina sempre di più allo scenario di rischio che secondo molti studi può costare al nostro Paese il 7-8% di PIL per la convergenza del peggioramento delle condizioni dei centri urbani, del tessuto idrogeologico, delle risorse idriche, dell’agricoltura e degli incendi boschivi. Tacendo sullo scempio che questo scenario arrecherebbe al nostro Bel Paese e al proprio patrimonio paesaggistico e culturale.
Ritornando alla “Green Acceleration” è possibile se facciamo convergere tutte le intelligenze del fare per semplificare i processi amministrativi, armonizzare gli incentivi, rendere stabili il mix di fonti, usare la tecnologia per adeguare le infrastrutture e ottimizzare gli impianti esistenti.
Ritorna quindi la necessità di dotarsi di un mind set innovativo andando oltre al business as usual e accelerare per cogliere l’evidente bisogno di cambiamento.
Purpose driven, modello per il Cambiamento
Le emergenze che stiamo vivendo hanno cementato le organizzazioni sul modello purpose driven. Basta digitare la parola sul web per realizzare le tante e belle iniziative delle aziende in questo senso. Nel grafico di Google trend al termine “purpose” viene associato il valore 100 per indicare che lo stesso termine è stato cercato dagli utenti con una maggiore frequenza rispetto ad altre parole.
Ma come rendere questo importante framework parte integrante della quotidianità nel lavoro come professionista e come team? Questa è la domanda che dovremmo considerare.
Non credo che ci sia una soluzione univoca ed è anche per questo che condivido il mio punto di vista.
Credo che nella pratica il purpose coincida con l''innovazione', con la capacità di vivere il contesto di cambiamento in maniera aperta nei confronti del nuovo e pronto a mettere in discussione i processi consuetudinari valorizzando il 'business as usual' come leva per innestare positivamente il nuovo e creare valore per le persone.
Nel pratico vuol dire attivare un 'meccanismo' se vogliamo anche divertente, di fare challenge alle pratiche quotidiane del lavoro: vado in ufficio per una sessione di design thinking oppure faccio smartworking? Produco un comunicato stampa oppure un podcast? E via dicendo.

Un atteggiamento del genere parte dalla constatazione che il concetto stesso di “comfort zone” è diventato fluido. Mentre i nostri genitori sono entrati nel mercato del lavoro e ne sono usciti ancorati a delle prassi che li hanno accompagnati per tutta la carriera questo oggi non accade. Per questo credo che la leva della formazione sia fondamentale non solo per acquisire skill ma per fare sedimentare culturalmente in ognuno di noi un contesto cambiato strutturalmente nel volgere di pochi anni.
C’è anche un risvolto motivazionale, non solo legato alle competenze, infatti mettersi in gioco rispetto all’innovazione significa un graduale avanzamento verso il purpose cioè uno sviluppo volto a trovare una versione più innovativa di noi stessi.
Questo credo è il significato pratico di purpose =innovazione, piccoli passi che ci portano tutti ad un mondo migliore, azioni che ci rendono migliori professionisti, che ci fanno crescere ed evolvere.
Ogni sfida ci offre l'opportunità di sviluppare un mindset innovativo.
Man mano che il mercato progredisce il professionista avanza, piccoli passi, di un percorso.
Certo a volte non è semplice, ma in un percorso
piccole crisi inaspettate possono aiutare a trovare soluzioni inaspettate, soluzioni innovative.
Si tratta di un processo fatto di micro innovazioni verso una versione più innovativa di noi stessi.
Proprio noi siamo i primi artefici del purpose in action, certo all'interno dello scenario definito dall'azienda dove abbiamo scelto di proseguire il nostro percorso. Connetterci al macro purpose e alle macro innovazioni ci permette di stare nell’ecosistema in modo equilibrato e avere un ruolo nel cambiamento.
È anche una questione di utilizzo innovativo della nostra intelligenza, l’innovazione è il carburante della trasformazione
Non c’è bisogno di fare il pieno ma almeno avere sempre un livello giusto d’innovazione per non navigare a motore spento.
Happy innovating!


