Formarsi sempre: la cultura del continuous learning

Formarsi sempre: la cultura del continuous learning

Siamo sempre stati abituati a pensare alla formazione come a uno strumento per aggiornarsi, per restare al passo con le novità del proprio mestiere. Ma oggi non si tratta più di aggiornamento occasionale o di episodi isolati: serve una vera e propria politica di apprendimento personale, un percorso continuo che accompagni ciascuno di noi lungo tutta la vita professionale. È questo, in sintesi, il significato profondo del continuous learning.

Non parliamo solo di competenze tecniche o digitali, ma di un atteggiamento mentale. La rapidità con cui cambiano tecnologie, mercati e linguaggi ci impone di superare l’idea di una formazione “a blocchi”, fatta di cicli e certificati. La conoscenza diventa un flusso, non un archivio. E chi non entra in questo flusso rischia di restare ai margini di un mondo che non aspetta.

Il concetto del continuous learning

Il continuous learning non è un concetto nuovo, ma oggi assume un significato diverso. Significa accettare che la formazione non è un momento separato dalla vita, bensì una sua dimensione costante. Implica una mentalità aperta, curiosa, capace di aggiornarsi in modo naturale e continuo. In questo senso, la scienza del cervello ci offre una conferma interessante: diversi studi mostrano che il cervello consolida meglio ciò che apprende attraverso stimoli brevi ma regolari, piuttosto che in sforzi concentrati e intensi. L’apprendimento continuo, quindi, non è solo un principio educativo: è coerente con il modo in cui la mente umana funziona davvero.

Serve un cambio di paradigma

Ma per arrivare a una cultura dell’apprendimento costante serve un cambio di paradigma. Non possiamo chiedere a persone cresciute in un sistema che separa il tempo dello studio da quello del lavoro di pensare che “si impara per sempre”. È un modello che si costruisce sin da piccoli, a partire dalla scuola. E qui emerge una grande contraddizione: parliamo di lifelong learning mentre difendiamo ancora l’idea di tre mesi di vacanze estive. Un retaggio di un’altra epoca, quando la pausa serviva ad aiutare nei campi e la vita seguiva i ritmi dell’agricoltura.

Oggi, in un Paese che affronta un inverno demografico e che fatica a mantenere alta la propria produttività, tre mesi di stop rappresentano un lusso che amplifica le disuguaglianze. Chi può permettersi esperienze formative, viaggi o laboratori estivi ne trae vantaggio; chi non può, resta indietro. Il divario cognitivo nasce anche da qui, da un tempo che non è distribuito in modo equo.

Formarsi sempre: la cultura del continuous learning
Formarsi sempre: la cultura del continuous learning

Continuous learning, continuità e curiosità

Il continuous learning richiede invece continuità, curiosità, esercizio mentale. Non è un obbligo imposto dalle aziende o dalle tecnologie, ma un diritto-dovere che ciascuno deve riconoscere per sé. È la consapevolezza che il valore professionale non è più statico, ma si rinnova costantemente.

Serve un sistema educativo che prepari al cambiamento e non solo alla memorizzazione; che insegni a interpretare l’incertezza, a muoversi dentro la complessità. E serve, allo stesso tempo, un ecosistema sociale che consideri la formazione permanente non come un costo, ma come un investimento collettivo.

La capacità di imparare sempre

Non basta parlare di upskilling o reskilling se non accompagniamo questi termini a una riforma del pensiero. La cultura del continuous learning non si misura in ore di corso o attestati, ma nella capacità di imparare, disimparare e reimparare.

Solo cambiando questo paradigma – a partire dalla scuola, passando per le imprese, fino alla sfera personale – potremo affrontare davvero la sfida di un mondo in trasformazione. Perché la vera innovazione non è la tecnologia: è la mente che resta aperta, curiosa e in cammino.

Happy Learning!


Gli Usa e STEM: il paradosso del gigante tecnologico

Gli Usa e STEM: il paradosso del gigante tecnologico

Gli Stati Uniti sono il faro globale dell’innovazione: dalla Silicon Valley al boom dell’intelligenza artificiale generativa, il paese ha plasmato il proprio successo su una visione fortemente orientata dalla tecnologia. Tuttavia, una sfida emerge quando si guarda più da vicino il capitale umano del paese e si zooma su quello che rappresenta all’unisono l’élite e la ninfa vitale di una nazione che ha al suo centro la tecnologia di frontiera, ovvero le STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics).

Ebbene nei precedenti articoli avevamo anticipato delle sorprese, eccone un’altra: in termini di laureati STEM gli USA non appaiono in buona salute. I circa 437 mila laureati in discipline STEM rappresentano solo il 21% dei laureati americani. Negli articoli precedenti abbiamo visto che questa percentuale in Germania rappresenta il 36%, mentre in termini assoluti la Cina ogni anno sforna 4.7 milioni di laureati STEM.

Le discipline STEM negli Usa

Anche il fenomeno della grande attrattività delle Università americane può, dal punto di vista della salute dal capitale umano a stelle e strisce, fornire una lettura non necessariamente positiva: oggi oltre metà dei titoli STEM negli USA sono conseguiti da studenti internazionali. In campi come informatica o ingegneria, gli studenti stranieri dominano le classi, con punte di oltre il 70% nei corsi in computer science.​ Va detto che circa 2/3 di questi laureati rimangono  a lavorare negli Stati Uniti, complessivamente, quasi un quinto della forza lavoro STEM statunitense è composta da nati all’estero.

Gli Usa e STEM: il paradosso del gigante tecnologico
Gli Usa e STEM: il paradosso del gigante tecnologico

Altro elemento critico appare essere la situazione nelle scuole pre-universitarie ( K-12). Nelle ultime rilevazione gli studenti americani fino a 18 anni hanno ottenuto risultati nella media internazionale in matematica e scienze, piazzandosi dietro molte altre nazioni avanzate​.

Sappiamo che la disponibilità di professionisti STEM è un fattore cruciale per tutte le economie moderne, e negli USA una carenza di figure tecnico-scientifiche potrebbe avere conseguenze significative su produttività e competitività.

Le imprese Usa e le difficoltà crescenti

Attualmente, le imprese americane segnalano difficoltà crescenti nel reperire lavoratori qualificati in settori tecnologici. Dopo la pandemia, con la ripresa delle attività, molti datori di lavoro hanno incontrato carenze di manodopera specializzata al punto da dover rallentare la produzione per mancanza di personale adeguato.

Gli Usa e la formazione STEM non sufficiente

Gli Stati Uniti detengono la leadership tecnologica globale in molte industrie, grazie alla combinazione di forte R&S, spirito imprenditoriale e attrazione di talenti. Tuttavia la formazione STEM domestica insufficiente può rappresentare un punto di debolezza significativo.

Chiudo consigliandovi di guardare un breve video in cui il CEO di Apple, Tim Cook, spiega il motivo per cui la sua azienda ha parte della produzione in Cina.

Happy STEM!

 


I grandi investimenti sulla IA e i vantaggi per le aziende italiane

I grandi investimenti sulla IA e i vantaggi per le aziende italiane

Negli ultimi mesi, l’intelligenza artificiale è diventata non solo il motore dell’innovazione tecnologica globale, ma anche l’oggetto di una nuova competizione geopolitica e industriale.
Stati Uniti, Unione Europea e singoli Paesi membri come la Francia stanno iniettando risorse senza precedenti per garantire la sovranità tecnologica e il controllo delle infrastrutture critiche dell’IA.

La svolta del 2025: Stargate, InvestAI e il piano francese

Il 2025 sarà ricordato come l’anno della svolta. A gennaio, Donald Trump ha annunciato il progetto Stargate, un’iniziativa titanica con l’obiettivo di costruire la più grande infrastruttura di data center e campus tecnologici dedicati all’IA mai concepita.
L’investimento iniziale è di 100 miliardi di dollari, con una proiezione che potrebbe toccare i 500 miliardi nei prossimi quattro anni. Un’alleanza tra colossi come SoftBank, Oracle e OpenAI che non solo punta a creare 100.000 nuovi posti di lavoro, ma vuole garantire agli USA il protrarsi della supremazia tecnologica.

Dall’altra parte dell’Atlantico, l’Unione Europea ha risposto con una visione altrettanto ambiziosa: InvestAI, un piano da 200 miliardi di euro per finanziare infrastrutture di supercalcolo, sostenere startup deep tech e accelerare la trasformazione digitale delle imprese.
Bruxelles non nasconde l’intento: assicurare che l’Europa non venga schiacciata tra la potenza americana e l’avanzata cinese. Il messaggio è chiaro: l’IA sarà il nuovo motore della crescita economica e chi resterà indietro pagherà il prezzo dell’irrilevanza industriale.

A distinguersi in questo scenario è la Francia, che ha deciso di giocare d’anticipo con 109 miliardi di euro destinati a diventare il cuore pulsante dell’IA europea. Con il supporto di giganti come Nvidia e Microsoft, Parigi mira a trasformare il proprio territorio in una Silicon Valley europea, attraendo startup, ricercatori e investimenti industriali.

I grandi investimenti sulla IA e i vantaggi per le aziende italiane
I grandi investimenti sulla IA e i vantaggi per le aziende italiane

E l’Italia?

Il ruolo finora assunto dall’Italia, quello di “spettatore interessato”, potrebbe trasformarsi in un’opportunità se seguito da una strategia nazionale che sappia fare leva sulle alleanze europee e atlantiche.
L’Italia è tra i Paesi fondatori dell’UE e, proprio grazie a questo posizionamento, potrebbe giocare un ruolo chiave come ponte tra i grandi poli di investimento e il proprio tessuto industriale fatto di PMI e distretti produttivi.

Le aziende italiane possono trarre vantaggio da questa ondata di investimenti europei e globali, a patto di attivarsi rapidamente su più fronti:

1. Accesso ai fondi InvestAI

Le imprese italiane potranno accedere ai bandi europei per progetti di innovazione e transizione digitale, partecipando a partenariati internazionali per lo sviluppo di applicazioni IA in settori chiave come automotive, energia e sanità.

2. Collaborazioni transnazionali

La Francia, con il suo piano da 109 miliardi, diventerà un polo attrattivo. Le imprese italiane più innovative potranno stringere alleanze strategiche con aziende francesi e accedere a infrastrutture avanzate per sviluppare congiuntamente prodotti basati sull’IA.

3. Filiera dell’IA made in Italy

Grazie al proprio tessuto industriale di PMI e distretti produttivi, l’Italia ha l’opportunità di diventare un laboratorio di applicazione dell’IA nelle filiere della meccanica, del lusso e dell’agroalimentare.
La sfida sarà rendere questa tecnologia disponibile a tutte le realtà produttive, integrando l’IA nei processi aziendali per generare efficienza e personalizzazione su scala.

4. Valorizzazione dei dati

Le aziende italiane possono trarre vantaggio dall’integrazione con le piattaforme europee di supercalcolo per elaborare grandi moli di dati e sviluppare servizi predittivi e personalizzati, migliorando la loro competitività.

Il nodo competenze e formazione

Un capitolo a parte merita il tema delle competenze e della formazione, forse il tema più importante da indirizzare con maggiore determinazione e capitali.
La partita dell’IA rende evidente la necessità di upskilling e reskilling delle persone, non solo sotto il profilo tecnico, ma anche da un punto di vista emotivo e culturale: se non conosci una tecnologia, difficilmente riesci a fidarti di essa.

Questa task è prevalentemente nelle mani delle aziende e delle Università, nella loro capacità di collaborare. Esiste un altro fattore che invece è responsabilità esclusiva del pubblico: la formazione dei giovani. È assolutamente evidente che bisogna rendere contemporanei i programmi di studi di tutti i cicli scolastici per rendere la materie scientifiche centrali nella vita scolastica tanto quanto lo sono nella vita reale, presente e futura.

Verso un futuro guidato dall’IA

La sfida è aperta: l’IA non è solo tecnologia, è strategia di business e riposizionamento del sistema Paese nel mondo del prossimo futuro.
E chi oggi saprà essere capace di costruire alleanze e investire, avrà le carte per essere protagonista in un mondo sempre più veloce.


STEM: la chiave per un Paese

STEM: la chiave per un Paese "Future Ready”

Era il 1988 quando Piero Angela esortava: “ Abbiamo bisogno di uomini che sappiano cucire la cultura umanistica con quella scientifica” e dopo quasi 40 anni la nuova “riforma” della scuola non sembra avere assimilato questo appello. Tutto questo quando l'intelligenza artificiale sta riscrivendo le regole del lavoro, della società e la tecnologia sempre più plasma ogni settore, nel viaggio alla modernizzazione tecnologica dove algoritmi e agenti digitale riscrivono regole e confini.

È forse la conoscenza del latino o del greco a renderci protagonisti della contemporaneità, o la capacità di progettare applicativi di AI? Questa provocazione non è retorica, i recenti avvenimenti ci mettono difronte al fatto che questo è il cuore del dibattito in un dualismo datato tra la necessità di preservare un'istruzione umanistica di stampo novecentesca e l'urgenza di puntare sulle materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica).

I numeri parlano chiaro: nei paesi più progrediti, l’investimento nelle STEM è un propulsore di produttività. Un +10% nelle competenze tecnologiche corrisponde a un +15% di produttività, secondo l’OCSE. Ancora più eloquente è uno studio della Oxford University: competenze in intelligenza artificiale, apprendimento automatico e scienza dei dati aumentano i salari potenziali del 40%. Questa crescita non è solo numerica, ma metaforica: rappresenta il balzo verso un futuro in cui l’innovazione non sarà più una scelta, ma una necessità.

Se vogliamo vedere l’importanza di questo percorso, basta volgere lo sguardo al Medio Oriente, un’area spesso associata al passato, ma oggi proiettata con forza verso il domani. In paesi come Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, il 77% dei lavoratori ritiene fondamentale aggiornare le proprie competenze STEM per affrontare le sfide dell’era digitale. Non si tratta solo di parole: interi sistemi educativi stanno mutando per supportare la formazione in settori cruciali come la robotica, l’energia sostenibile e l’intelligenza artificiale.

Ad esempio, iniziative come il programma “STEM for All” negli Emirati hanno portato a un incremento del 60% degli iscritti a corsi universitari scientifici in soli cinque anni. Questa regione sta dimostrando che non importa da dove parti, ma dove decidi di andare. Con una visione chiara, l’impegno nel presente può trasformare il futuro.

STEM: la chiave per un Paese "Future Ready”
STEM: la chiave per un Paese "Future Ready”

Il Lavoro come rinascita: case study innovativi 

L’insegnamento delle STEM non conosce confini né barriere, come dimostrano due esempi emblematici. L’Università di Helsinki, ha messo a disposizione dei carcerati un corso per imparare le basi dell’intelligenza artificiale per prepararsi al mercato del lavoro una volta scontatta la loro pena: un’analogia concreta tra la libertà mentale e la libertà fisica.

Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, l’UCLA ha deciso di utilizzare l’intelligenza artificiale non solo per sviluppare la tecnologia, ma anche per rafforzare le materie umanistiche. Il corso di letteratura comparata della professoressa Zrinka Stahuljak sfrutta la piattaforma AI Kudu per personalizzare materiali didattici e stimolare l’analisi critica degli studenti. È un esempio di ciò che le STEM possono fare: non cancellare, ma trasformare. Non chiudere, ma aprire.

In questo scenario, i giovani e le imprese non sono più solo consumatori di conoscenza: sono creatori e innovatori. Guidati da capacità, curiosità e necessità, reinventano il mondo attraverso approcci scientifici. Le aziende che sostengono questo spirito imprenditoriale ottengono più di profitti.

Prepararsi al futuro: una scelta necessaria

L’Italia deve guardare avanti. L’idea che l’umanesimo e le scienze debbano convergere è corretta, ma non può distogliere l’attenzione da ciò che conta davvero: preparare i giovani alle competenze STEM, perché il futuro non aspetta.

Il nostro Paese rischia di diventare una sineddoche dell’Europa, una parte che non rappresenta più il tutto, un frammento nostalgico di un passato glorioso, mentre altri costruiscono il domani. Per evitare questa trappola, dobbiamo agire ora.

Il  dibattito si è acceso proprio recentemente, il Ministro dell’Istruzione e del Merito ha annunciato una riforma volta a rilanciare lo studio della Storia, con una commissione di esperti incaricata di aggiornare le Indicazioni Nazionali. È un tentativo lodevole, ma solleva almeno 3 interrogativi: stiamo forse cercando di invertire il corso di una trasformazione inevitabile? Forse è il passato che ci guida, o l’innovazione che ci chiama? È forse il latino che ci prepara, o la tecnologia che ci insegna?".

Il Ruolo della Comunità Scientifica

La comunità scientifica, però, non può limitarsi a vivere nella sua torre d’avorio, lontana dai dibattiti umanistici e dalla società. È necessario che gli esperti STEM si impegnino in una divulgazione semplice e accessibile, capace di abbattere il muro di incomprensione che spesso separa scienza e pubblico.

Ma non basta. I professionisti delle scienze devono partecipare attivamente alla vita culturale del Paese, contribuendo a creare un tessuto connettivo in cui sapere scientifico e pensiero umanistico non siano più mondi separati, ma un tutt’uno. Solo quando società, umanesimo e scienza dialogheranno in armonia potremo veramente ambire a un’Italia migliore, capace di progredire senza perdere la sua identità.

Se oggi non investiamo nelle STEM, domani resteremo solo a osservare gli altri costruire ciò che avremmo potuto creare. Le STEM non sono un’alternativa, sono la base. Sono la grammatica del futuro, l’alfabeto di un mondo in cui l’innovazione è il nuovo linguaggio universale. Chiudo attingendo ancora da Angela che citando Toraldo di Francia chiude l’intervista con cui ho aperto questo articolo dicendo: “Non bisogna soltanto fare una  la tecnologia a misura dell’uomo ma anche l’uomo, e direi degli intellettuali, a misura della tecnologia”


Imparare per crescere: la formazione come motore del business

Imparare per crescere: la formazione come motore del business

Nei miei articoli ho spesso sottolineato l’importanza della formazione e dell’istruzione. Credo fermamente che l’apprendimento garantisca la crescita professionale, mentre l’istruzione rappresenta una delle chance migliori per attivare la scala sociale e offrire al Paese il capitale umano necessario per crescere nella società post digitale.

Mai come oggi la formazione non è più un semplice episodio nella carriera di un professionista, ma un processo continuo, una rotazione verso il nuovo che accompagna ogni fase della vita lavorativa.

Viviamo un’epoca caratterizzata da cambiamenti rapidi e sfide complesse: dall’ascesa dell’intelligenza artificiale generativa (IAG) alle esigenze legate alla sostenibilità ambientale, la capacità di apprendere costantemente è cruciale.

L'IA ridisegna le competenze

Secondo una recente analisi di Accenture, in Italia saranno necessari programmi di riqualificazione per ben nove milioni di lavoratori nei prossimi anni, un dato che riflette quanto l’IA stia ridisegnando le competenze richieste nel mondo del lavoro. Ma non si tratta solo di aggiornarsi per stare al passo: oggi, la formazione è il mezzo per valorizzare il proprio potenziale, per sviluppare una leadership basata sui valori e per creare un rapporto più consapevole con strumenti come l’IA e con gli obiettivi di sostenibilità.

Un esempio concreto di come la formazione possa diventare un elemento strategico per il successo aziendale è il format LHUB - Human Gaming, che ho adottato con il mio team. Questo approccio incarna pienamente il concetto di apprendimento continuo, combinando lo sviluppo di competenze tecniche e relazionali con una visione innovativa che integra le potenzialità dell’intelligenza artificiale.

Imparare per crescere: la formazione come motore del business

Il LHUB per rafforzare la Leadership

Nel nostro percorso, il format LHUB si è rivelato fondamentale per rafforzare la leadership dei partecipanti, aiutandoli a proporre soluzioni ancorate a valori condivisi. Allo stesso tempo, abbiamo esplorato l’interazione tra persone e IA, trasformandola in un vantaggio strategico grazie a sessioni mirate alla creazione e verifica di output generati dall’intelligenza artificiale. Non meno importante è stato il lavoro sulla capacità di bilanciare l’efficienza operativa con il benessere, un principio che definiamo “velocità sostenibile”, così come l’abilità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti attraverso la simulazione di scenari e risposte innovative.

Le trasformazioni del lavoro non si limitano all’IA. Un altro fronte cruciale è rappresentato dalle competenze legate alla sostenibilità. Il divario di competenze nel settore green potrebbe arrivare a 7 milioni entro il 2030, rappresentando un ostacolo significativo al raggiungimento degli obiettivi climatici globali.

La necessità per le aziende di investire

Le aziende più lungimiranti stanno già investendo in:

  • Piattaforme di formazione mirate a ridurre il gap di competenze, rendendo i dipendenti attori attivi del cambiamento.
  • Cultura aziendale orientata al purpose, cioè al raggiungimento di obiettivi significativi, come la transizione verso la neutralità climatica.

Un dato significativo, rivela che quasi 9 giovani su 10 appartenenti alla Gen Z e 8 su 10 Millennial attribuiscono valore a lavori che offrono un senso di scopo. La formazione, dunque, non è più un processo isolato: è un percorso per attirare e trattenere nuovi talenti in un momento di grande trasformazione.

La formazione continua è, oggi più che mai, un tema centrale per chiunque voglia affrontare le sfide di un mercato del lavoro in continua evoluzione. L’apprendimento non è più un momento isolato nella carriera, ma un percorso costante che ci permette di crescere, innovare e contribuire al cambiamento. Ho sempre creduto che investire nella formazione sia la strada più sicura per costruire competenze solide, rafforzare la propria leadership e affrontare con successo le trasformazioni in atto.

Sono proprio questi temi che ho avuto il piacere di approfondire in un nuovo progetto, un podcast realizzato da Forbes Italia in collaborazione con UM Italia. Nel primo episodio, abbiamo discusso dell’importanza della formazione e di come essa sia il fondamento di qualsiasi strategia di crescita personale e professionale. Ringrazio Forbes per avermi coinvolto in questa iniziativa, che rappresenta un’occasione unica per condividere esperienze, spunti e consigli utili a chi vuole continuare a migliorarsi.

La mia intervista a Forbes

Vi invito ad ascoltare il primo episodio del podcast “Communication Tips”, disponibile a questo link: Forbes Italia presenta il podcast “Communication Tips”. È un progetto che ho trovato estremamente stimolante, e spero possa ispirare anche voi a considerare la formazione non solo come un obiettivo, ma come una filosofia di vita.

https://www.youtube.com/watch?v=e18feBOgZyY

Happy Training!

 


competenze futuro | AB

Valorizzare le competenze per un nuovo futuro

Avere un capitale umano adeguatamente formato è sempre stato il fattore differenziante per l’individuo e per la società nel suo complesso. In un’epoca di grandi cambiamenti è importante ribadirlo per non lasciare i canali di comunicazione in balia di messaggi che rischiano di rallentare i processi di innovazione.

Per questo ritengo ammirabile chi sa delineare una visione nuova, in grado di portare la conversazione su un altro livello. È quello che ha fatto il prof. Romano Prodi che sulle colonne de Il Sole 24 ore ha lanciato l’idea di una grande operazione culturale che valorizzi l’asse del Sud: costruire nuove università mediterranee per cambiare visione. Il progetto è naturalmente complesso ma chiaro: almeno venti università nuove, fondate ciascuna insieme da un ateneo europeo («all’inizio Italia, Francia, Spagna, Grecia e Portogallo») e da un ateneo dell’Africa, ciascuna con la metà dei professori di una sponda del Mediterraneo e l’altra metà dell’altra sponda, con la stessa proporzione fra gli studenti e con l’obbligo che ogni laureando trascorra la metà del tempo degli studi in una sede e l’altra metà nella seconda sede. Un gemellaggio culturale in grado di spostare l’asse di problemi bloccati da anni facendo leva sul capitale umano.

Esiste una vera e propria economia della competenza con la quale si intende l'utilizzo degli skills dell’individuo per generare valore, oggi con particolare attenzione a tematiche come tecnologia, relazioni umane, comunicazione, trasformazione, sostenibilità, e utilizzo della conoscenza in ogni sua forma.

competenze futuro | AB

Nessun Paese con scarse competenze e capitale umano può far crescere il proprio PIL e trasformarsi come è necessario per il nostro sistema produttivo. Dovremmo darci un paniere delle competenze che misuri il tasso di capitale umano e con il passare degli anni si aggiorna. Escono alcune competenze primarie e subentrano nuove competenze che rappresentano meglio l’ecosistema attuale.

Tanto più un sistema economico soddisfa la domanda legata al capitale umano tanto più il reddito e il benessere migliora. Un recente studio sul mercato del lavoro UK ha stimato in oltre 6 punti percentuali di PIL aggiuntivo la capacità del sistema britannico di produrre le necessarie figure professionali. Qualora questa condizione non si dovesse realizzare la spirale bassi salari, bassi livelli di produttività, calo del PIL porterebbe ad una raccolta di tasse da parte dello Stato di almeno il 10% con conseguenti tagli ai servizi e al sistema di welfare.

Nell’ambito del settore in cui opero, quello delle comunicazione, posso testimoniare quanto ogni giorno per raggiungere risultati soddisfacenti sia necessario guardare alle nuove competenze come un gap da colmare in fretta e con consapevolezza. La trasformazione guidata dalle tecnologie sta plasmando il nostro lavoro di comunicatori, dobbiamo essere più istantanei, personalizzare sempre di più, ed essere inclusivi per cogliere anche le sfumature che spesso corrispondono alla sostanza.

Il successo di un team appare oggi sempre più legato alla sommatoria delle competenze hard e soft dei singoli membri; il fattore umano è una risorsa preziosa il cui valore è collegato alla qualità del gruppo di lavoro ed è quindi uno strumento competitivo importante dal quale dipendono i risultati complessivi dell’organizzazione e della società.

La centralità della persona è ormai generalmente riconosciuta per assicurare il mantenimento e lo sviluppo dell'azienda; per vincere la sfida del futuro non basteranno tecnologie avanzate, o modelli gestionali perfetti sarà necessario disporre di risorse umane in grado di navigare i cambiamenti in maniera fruttuosa per se stessi e l’ecosistema.

Happy Innovating!


Armando Barone

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