5 consigli per presentare in modo efficace ad un Senior Executive
Quante volte vi sarà capitato, leggendo articoli o libri, di scorrere con gli occhi o più semplicemente di sentire la parola C-suite? Se si lavora in ambito aziendale, credo infinite.
Ma quante volte quando dobbiamo fare una presentazione teniamo davvero in considerazione le esigenze di questo pubblico?
Sbagliare una presentazione per un Senior Director può essere antipatico e nel peggior dei casi compromettere l’accettazione o meno di un progetto o di un budget.
Sono persone che normalmente hanno pochissimo tempo a disposizione e devono prendere decisioni importanti per il bene dell’azienda. Quindi è fondamentale che la presentazione li metta in grado di prendere la miglior decisione nel minor tempo.
Lunghe presentazioni con grandi effetti a sorpresa non sono un modo efficace per catturare questa audience, anzi piuttosto si rischia di allontanarla. E’ importante raggiungere subito l’oggetto della presentazione - perché spesso l’opportunità di finire lo speech “ideale” non è reale. I Senior Director hanno un bisogno fisiologico di iniziare la fase di Q & A, molto prima di altre audience.
Quindi quando stiamo per confezionare la nostra presentazione con questa audience tenere in considerazione questi 5 step che ritengo fondamentali può fare la differenza:

- Arriviamo subito al punto: impiegare meno tempo di quello che ci è stato assegnato. Se ci sono stati concessi 30 minuti, creiamo la nostra presentazione entro quel lasso di tempo ma è bene far finta che il nostro spazio sia stato ridotto a 15 minuti. Così ci costringeremo a essere sintetici e tener conto delle variabili a cui tengono i senior director: risultati di alto livello, conclusioni, raccomandazioni, e una call to action chiara e diretta. Questi sono i punti che dovremmo raggiungere in modo trasparente e semplice, lasciando altri topic in un back up ma pronti all’uso.
- Diamoli quello che vogliono davvero: stiamo focalizzati sulla priorità. Evitiamo di perderci. Se siamo stati invitati per argomentare un progetto particolare, è inutile aggiungere altri temi, incluse premesse olistiche. Ci hanno chiesto di fare questa presentazione perché sentono che possiamo aggiungere pezzi d’informazioni rilevanti, e aiutarli a chiudere specifici open point. Non bruciamo l’opportunità di essere rilevanti!
- Set Expectations: quando iniziamo la presentazione è importante far sapere alla audience che ci prenderemo 5 minuti dei nostri 30 per fare un riepilogo dei topic. Molti CEO resistono solo 5 minuti perché scalpitano dalla voglia di aprire subito la fase di Q&A. Questo accorgimento li mette in una situazione preventiva di relax ed evita eventuali interruzioni.
- Creare un executive summary slide: creare una overview chiara in pochissime slide che contenga tutti i topic e i relativi occhielli diventa strategico quando passiamo in rassegna le slide durante lo speech. Possiamo utilizzare anche la funzione d’inserimento in PowerPoint “collegamento ipertestuale” in modo che ogni topic sia collegato alle slide di approfondimento. Questa modalità ci è amica per gestire sia la fase di presentation vera e propria sia la fase di Q & A. Per una giusta proporzione, le slide di riepilogo dovrebbero essere circa il 10% del totale. Quindi se la tua presentazione è di 20 slide, abbiamo solo due slide che possiamo gestire come Executive summary. Se ci sono slide di maggior dettaglio, come Survey o altre informazioni utili, possiamo collocare queste supporting evidence in una sezione di back up/appendice in coda alla presentazione.
- Allenati: prima di presentare riguardiamo attentamente tutte le slides e condividiamole con un collega: il nostro messaggio arriva chiaro? Le slide di riepilogo sono intuitive o abbondano di testo? Manca ancora qualcosa alla presentazione che la audience potrebbe richiedere?
Tutte queste sono domande che possono rendere la nostra presentazione ad un C-level efficace e rilevante.
Happy Presentation!
Quando la transizione digitale ha bisogno di human touch
La transizione digitale per generare valore ha bisogno di più human touch, ben lontano da scenari distopici utili per i copioni delle serie televisive.
Questo vale anche per i comunicatori dove l’ibridazione e i pesi del digitale con il fisico andrebbero ribilanciati. La parabola innescata dal moltiplicarsi delle piattaforme di comunicazione e dalla ricerca multicanale da parte delle persone di contenuti è probabilmente solo all’inizio della sua curva di crescita. In questo contesto quale atteggiamento deve avere il comunicatore nei confronti dei propri stakeholders esterni?
A mio parere bisognerebbe essere consapevoli che la narrazione della storyline deve avvenire non solo nei canali digitali ma anche in situazioni relazionali dove atmosfera, comunicazione non verbale ed empatia fanno ancora la differenza nel nostro mestiere e contengono il trust gap che è l’ostacolo numero 1 della nostra professione.
A detta ragione, la comunicazione “fisica” in presenza va rivalutata, soprattutto agli occhi dei giovani che si sono affacciati di recente alla professione, perché è importante quanto qualsiasi altra forma di comunicazione. Sebbene sia spesso sottovalutata, è altrettanto essenziale quanto poter parlare o ascoltare. È una soft skill fondamentale che va alimentata e allenata costantemente e credo sia fondamentale nel percorso di empowerment delle persone.
La cosa ha un riscontro pratico e non sorprende se ad esempio nel rapporto "Cision 2022 State of the media. Approfondimenti per i professionisti delle PR che vogliono attrarre l’attenzione dei giornalisti”, viene sottolineato che se non hai mai incontrato fisicamente un giornalista prima, contattarlo con altri mezzi non è un modo efficace per ottenere la sua attenzione.

Ecco 5 benefici che lo specialista della comunicazione può guadagnare da un utilizzo autentico e sistematico delle relazioni pubbliche:
- È più facile coinvolgere gli stakeholder. Quando stai conversando con qualcuno che non ti ascolta perché è distratto da altri obiettivi, la comunicazione digitale può essere ingombrante e inefficace. Potresti non avere la loro piena attenzione, o potrebbero semplicemente graffiare la superficie del messaggio che vorresti trasmettere. Per la stragrande maggioranza delle volte, è molto più facile coinvolgere le persone a vedere la tua prospettiva quando sei fisicamente di fronte a loro, magari accompagnati da un caffè. Non siamo una finestra di posta elettronica che può essere semplicemente chiusa e dimenticata. Puoi coinvolgerli, cambiare tattica e presentare il tuo messaggio in modo persuasivo!
- Connessioni più forti. La fiducia non si costruisce su un messaggio di testo. È improbabile uno stakeholder che non vede mai la tua faccia senta con te la stessa connessione di qualcuno a cui stringi la mano regolarmente. Ti sentono. Leggono le tue parole. Ma vederti crea una connessione che non può essere sostituita da nessun'altra modalità di contatto.
- Migliore comprensione non verbale. Non si tratta solo di parlare. C'è un'altra dimensione importante della comunicazione: il linguaggio del corpo. I segnali non verbali possono accompagnare e rendere più efficace il contenuto della tua storyline, e questo è un effetto che non puoi ottenere tramite e-mail, telefono o altri mezzi digitali. Il linguaggio del corpo può dirti come si sente una persona e come si sente riguardo a ciò di cui stai parlando. Può dirti se non sono sicuri del tuo piano. Se sono disattenti al tuo tono. Se la loro cordialità è sincera o solo un atto. Sulla base di segnali non verbali, puoi cambiare tattica in un tono, regolare il tono di voce o il linguaggio che stai usando
- Più rapido ed efficace. Che si tratti di parlare con il team o di comunicare con un influencer, faccia a faccia è semplicemente meglio. Potrebbero essere necessarie dieci e-mail per elaborare un dettaglio minore che potrebbe essere gestito in due minuti di persona.
- Si rafforza la comunicazione a due vie. Le persone sono più coinvolte e collaborative nei contesti faccia a faccia. Si esce dalla dinamica emittente e ricevente ma si è l’uno e l’altro nello stesso momento. Da questo scambio nascono idee e si capiscono meglio le relative esigenze.
Quando la Trasformazione fa rima con il Talento
La trasformazione ha dimostrato di essere una delle maggiori sfide che il mondo deve affrontare nei tempi moderni, avendo un profondo impatto sul benessere globale, sulla forza delle imprese, sulle economie e non per ultimo sulla vita quotidiana dei professionisti.
In una situazione come questa è comprensibile che due principali priorità aziendali siano la fidelizzazione dei dipendenti nell’era delle Grandi Dimissioni e l'aumento del ruolo sociale dell’impresa per garantire la crescita sostenibile dell’azienda stessa.
In tempi d’incertezza come questi è importante spostare il focus sulle capacità e soft skills di ogni individuo, qualsiasi sia il ruolo nell’ecosistema: cittadino, genitore, professionista.
E nel portare attenzione all’individualità diventa importante per ognuno di noi focalizzarsi sui propri punti di forza piuttosto che su quelli di debolezza.
Il professionista contemporaneo dovrebbe conoscere le proprie skills e forze per meglio usarle a favore di se stesso e dei colleghi con i quali lavora. Credo fortemente che il team perfetto sia quello dove ogni individuo conosce le proprie forze ma anche quelle dei colleghi con i quali condivide visione, operatività e risultati.
Un approccio basato sui punti di forza è unico e potente. Una ricerca di Gallup mostra che la chiave del successo è comprendere appieno come applicare i propri più grandi talenti e punti di forza nella vita di tutti i giorni. I ricercatori Gallup hanno anche esaminato decenni di dati sui temi delle prestazioni individuali e dello sviluppo personale. Gallup ha studiato più di 1 milione di team di lavoro, condotto decine di migliaia di interviste individuali e formato decine di migliaia di dirigenti, leader, manager e collaboratori individuali. Tutte queste ricerche dimostrano che la chiave del successo è comprendere appieno come applicare i propri più grandi talenti e punti di forza nella vita di tutti i giorni.

Quando scopriamo i nostri talenti, scopriremo anche le maggiori opportunità di eccellenza, successo e contributo. Saper manovrare le proprie soft skills secondo l’occorrenza costituisce la cassetta degli attrezzi del moderno membro di un team, che non è più un professionista fine a sé stesso ma dovrebbe saper interpretare un ruolo di leader vero e proprio e saper guidare la trasformazione. E puntando sulle nostre forze possiamo interpretare al meglio questo nuovo ruolo del professionista- leader.
Un team riesce a raggiungere una leadership in un contesto macro se e solo se ogni membro sviluppa una micro-leadership.
Per decenni siamo andati a lavorare sui punti di debolezza dei nostri team convinti che migliorare e migliorarsi significava ridurre il più possibile quel gap. Ma questo approccio allontana inevitabilmente dalle qualità e dai talenti che ogni persona si porta nel background, nel suo spazio naturale che costituisce vera forza per sé stesso, per i team e per l’impresa in senso più generale.
Anche se può sembrare un concetto astratto, il talento è invece connaturato alla natura stessa dell’uomo e la sfida è riconoscerlo e valorizzarlo. Questo permette non solo di scoprire e valorizzare il talento personale ma anche di riconoscere quello delle persone con cui lavoriamo, collaboriamo e interagiamo o incontriamo casualmente. Credo che questo approccio non riguardi solo le aziende, anche la scuola dovrebbe puntare sui punti di forza degli studenti anziché rilevare e fare leva sulle debolezze. In questo modo si rischia di perdere talenti per strada perché la fatica per una persona di ridurre il divario con le proprie debolezze è molta. Non dovrebbe essere così, la scuola può aiutare a far emergere le forze e il talento, istruendolo e facendolo sbocciare.
Uno dei motivi per cui il sistema educativo non riesce a far crescere molti talenti è che spesso si ha l’abitudine di guardare ciò che non va in uno studente, invece di mettere in risalto quello che di buono esiste già.
Tutto l’ecosistema dovrebbe cambiare un po' prospettiva e impegnarsi nell’interessante, e continua, scoperta dei nostri punti di forza (a partire dalla età dell’adolescenza). La valorizzazione e l’espressione dei talenti è un compito primario della scuola, dello sport e di tutte le realtà e comunità educative.
Crescere e svilupparsi - e ottenere il massimo ritorno sull'investimento individuale, di team e di azienda - è la sfida che deve muoverci tutti nessuno escluso verso il progresso, la trasformazione e la crescita sociale.
Happy Innovating!
Lo sport come acceleratore delle soft skills
Le soft skill sono le qualità più ricercate e la base su cui si fondano le “professioni del futuro”. Ma dove impararle? A mio parere lo sport può dare un contributo fondamentale, ad oggi solo in parte valorizzato prevalentemente a causa della sua marginalizzazione nel percorso didattico e educativo del nostro sistema scolastico
Lo sport conduce alla voglia di migliorarsi costantemente, a capire le regole, ad avere un approccio strategico e abbassare le soglie di stress. Ma può anche creare modelli di leadership autentici e ispirazionali.
Del resto, lo sport risponde a una molteplicità di stakeholder eterogenei, dal Consiglio di Amministrazione alla comunità dei tifosi. Illuminanti le parole di un ex presidente del Manchester City: “Nel calcio è come avere una quarantina di Consigli di amministrazione all’anno, nei quali 40.000 azionisti si presentano per esprimere ciascuno la propria opinione”.
Ma c’è un legame tra chi gestisce un team di lavoro e un allenatore? Su questo mi sono confrontato con un grande coach, Raffaele Parlati, che mi ha rassicurato che non sono fuori strada. Raffaele è l’allenatore della nazionale di Judo e padre del campione Cristian, che lo scorso ottobre ha confermato il proprio talento con l’argento nella categoria -90 kg ai Mondiali organizzati in Uzbekistan.
Insomma, non uno qualunque a cui ho posto due domande.
Raffaele, secondo te un leader che capacità deve avere per includere tutti e non perdere nessuno?
Rispondo volentieri alle domande che mi hai fatto. Come gestire un gruppo di atleti è la prima domanda che ogni allenatore si fa.
Credo che le abilità che un buon coach deve possedere, al di là delle conoscenze tecniche, sono empatia, comunicazione efficace, coerenza delle scelte e il saper motivare tutti riuscendo a far coincidere gli obiettivi personali - dell’atleta - con quelli della squadra.

Come è possibile trasmettere valori e ottenere consenso?
Per quanto riguarda i valori del Judo credo che siano valori universali ed in quanto tali restano sempre gli stessi al di là dei cambi generazionali. Sta alla capacità del maestro far recepire questi valori ai ragazzi, trovando la giusta comunicazione per arrivare ai giovani.
Queste due risposte hanno un grande significato declinabile su tanti fronti. Primo fra tutti quello che conferma il collegamento tra lo sport, il lavoro e sistema formativo ed educativo italiano, fornitore e propulsori di nuovi talenti e giovani per le organizzazioni. Gli antichi romani ne erano già convinti: Mens sana in corpore sano. Un’abitudine che veniva condivisa anche tra i popoli dell'antica Grecia dove si proponeva un'idea di benessere psicofisico che prevedeva il raggiungimento dell’equilibrio tra corpo e mente e che passava, tra le altre attività, anche attraverso la ginnastica.

Uno studio apparso sull’Annals Journal of Health Promotion da un team di esperti dell’Università del Montreal, ha dimostrato quanto lo sport abbia influenza anche sui risultati degli studenti. Per realizzare il test, gli esperti hanno analizzato 2700 alunni di età compresa tra i 13 e i 18 anni scegliendo un numero di ragazzi abituati a fare sport e altri che, invece, dedicavano il loro tempo solo allo studio e ad altre attività. Esaminando i risultati scolastici, è emerso che gli studenti che praticavano uno sport in modo regolare, raggiungevano risultati migliori con voti più alti. Tra le caratteristiche che presentavano in comune vi era maggiore autocontrollo e una concentrazione più duratura. Non solo, gli stessi giovani, dopo solo 5 minuti di sport, rivelavano risultati migliori nello svolgimento di test valutativi delle capacità intellettuali. Inoltre, è emerso che il 50% dei soggetti che praticavano sport studiavano in media circa 3 ore in più a settimana rispetto agli altri.
Lo sport va quindi inquadrato come un alleato in questo momento di trasformazione per aiutare il sistema Paese a migliorare il proprio capitale umano e fornire al mondo aziendale tecniche di gestione dei team, utili per valorizzare appieno le soft skill degli individui.
L′inclusività oggi al centro delle aziende
Con il crescere dell’attenzione intorno al tema dell’inclusività, siamo sempre più coinvolti come professionisti a trovare modi e azioni per muovere questo concetto da un’idea astratta a modus operandi concreto. Per questo ben volentieri accetto lo stimolo di condividere un’opinione rispetto all’articolo pubblicato su thinkwithgoogle.com
L’evoluzione verso una maggiore inclusività da parte delle organizzazioni per trasformare i team di lavoro in contesti maggiormente in grado di cogliere e valorizzare gli elementi di differenza in un'era contraddistinta da repentini cambiamenti è molto cresciuta ed senz’altro un fattore positivo.
Ma come si può rendere un team di lavoro davvero inclusivo e come chi lo deve coordinare può favorire questo processo? L’esperienza mi dice che ci sono alcuni elementi che non possono mancare: maggiore capacità di ascolto, accoglienza delle criticità, aperta convivenza tra le identità o diversità del team.
Credo sia molto interessante anche la riflessione portata da Thinkwithgoogle e Adweek su una maggiore attenzione a un linguaggio e ad ambienti di lavoro più inclusivi soprattutto ora con l’avvento del modello ibrido.
Il ruolo del linguaggio, utilizzato all’interno di un team, può essere essenziale su molti fronti. Con le parole può capitarci di discriminare le persone disabili e, più in generale, il presupporre che tutte le persone abbiano un corpo abile. È facile cadere nel tranello della non consapevolezza rispetto al linguaggio che utilizziamo.

Anche l’età è un problema di inclusione e diversità che il nostro linguaggio quotidiano deve ancora risolvere, sarà capitato a molti dire per esempio: “è troppo vecchio per lavorare in questo team.” - oppure - “Il suo cv contiene delle esperienze interessanti ma ho bisogno di una persona più giovane per il mio team”.
Anche gli ambienti in cui i team operano sono cambiati e mantenere le connessioni virtuali continuerà a essere fondamentale, dal momento che sempre più team lavorano in modalità ibrida. In un luogo di lavoro ibrido è fondamentale che i team abbiano pari possibilità di collaborazione, in cui tutti i dipendenti dispongano dell'accesso, e di informazioni e strumenti necessari per lavorare insieme al proprio team ed essere produttivi.
Quindi un coordinatore di team deve riuscire a coinvolgere le persone anche se sono a distanza e questo mi rendo conto non sia facile, ma ci sono degli escamotage, per esempio iniziare una riunione domandando un parere alle persone che non sono in presenza, oppure fare in modo che le riunioni siano il più accessibili possibile e utilizzare strumenti digitali interattivi per promuovere l'inclusione durante i “face to face” di gruppo.
Insomma, la buona notizia è che con un po’ di allenamento e pratica possiamo essere più inclusivi in modo più consapevole. La diversità evolve e con essa anche il professionista, che ha l’opportunità per cambiare davvero sul campo le cose.
Sono molto orgoglioso di affermare per esempio che la mia Accenture sul fronte dell’inclusione e della diversità si sta muovendo da tempo con azioni concrete e autentiche. Sviluppa perfezionamenti in aree d’interesse che riguardano genere, etnia, LBGTQ+, religione, persone con disabilità e diversità interculturale, entro il 2025, vogliamo raggiungere il bilanciamento 50:50 in termini di genere.
L’Italia contribuisce alla sfida con un’agenda programmatica volta ad aumentare l’attuale gender mix: la presenza femminile in Accenture ha avuto negli ultimi anni un costante incremento.
Se vogliamo avanzare verso team di lavoro veramente inclusivi, dobbiamo implementare i processi e gli strumenti necessari per monitorare e misurare i nostri progressi inclusivi come professionisti e membri di un team.
C'è ancora molta strada da fare prima che un team possa dirsi davvero inclusivo, per ora con il mio team abbiamo mosso solo i primi passi ma il cammino è lungo e ci accomuna tutti.
E se c'è uno strumento che può aiutarci a raggiungere la nostra meta più velocemente, di sicuro è quello della comunicazione.
Il rilancio dell’istruzione come volano per la crescita
Un giorno gli studenti impareranno la storia “viaggiando” indietro nel tempo, le nuove tecnologie stanno già avendo un impatto positivo nel settore dell’istruzione, e le Big Tech stanno contribuendo a svilupparlo. Mentre l’innovazione assicura un impatto sulla vita reale di milioni di studenti e studentesse, l’ecosistema che regge l’intero ciclo dell’istruzione italiano invece sembra accusare anelli deboli.
Il punto debole del funnel non è la fase di recruiting da parte delle aziende, ma la scarsità di laureati per soddisfare la domanda del cambiamento.
L’OCSE da poco ha rilasciato un report che mette in evidenza la crescita lenta del Paese quando si parla di istruzione. L'Italia rimane uno dei 12 Paesi dell'OCSE in cui il livello di istruzione terziaria è ancora meno diffuso rispetto a quello secondario superiore o post-secondario.
I NEET crescono oltre 3 milioni, giovani adulti che non hanno un lavoro, né seguono un percorso scolastico o formativo per periodi prolungati, giovani che rischiano di avere risultati economici e sociali negativi sia a breve che a lungo termine. Dopo essere aumentata fino al 31,7% durante la pandemia da COVID-19 nel 2020, la quota di NEET di età compresa tra 25 e 29 anni in Italia ha continuato ad aumentare fino al 34,6% nel 2021. Tale quota è diminuita tra il 2019 e il 2020 dal 28,5% al 27,4% ed è aumentata fino al 30,1% nel 2021 per i giovani di età compresa tra 20 e 24 anni.
Il cambiamento crea un volano di domanda importante e l’opportunità per i giovani laureati e diplomati di cogliere il futuro come una prospettiva economica nettamente migliorativa è davvero un fatto tangibile.
L’ostacolo che va superato e che insieme possiamo superare riguarda come gli attori principali dell’ecosistema comunicano e lavorano insieme. Famiglie, Scuole, Università, Enti, Aziende tutti insieme per creare un meccanismo dove aumentiamo l’intensità dell’istruzione e il numero di laureati.
Quale forza lavoro sosterrà la competitività del nostro Paese se non i nostri giovani studenti di oggi e futuri manager e talenti di domani?
Siamo un Paese capitalistico con una scarsità di laureati e questo è un paradosso in un’economia moderna come la nostra. I giovani (25-34) con una laurea non raggiungono neppure il 30%.

Le Famiglie meritano attenzione. Certamente i tassi record di abbandono scolastico (1 persona su 4 non arriva alla maturità) e di rinuncia del percorso universitario (solo 1 su 5 si laurea) hanno una radice anche nel nucleo familiare. Probabilmente le famiglie e i giovani non percepiscono il valore anche economico dell’istruzione. Di certo i nuclei familiari devono affrontare uno sforzo economico considerevole: secondo recenti analisi il percorso dal nido alla laurea per un singolo figlio costa 130 mila euro. Sicuramente si tratta di un investimento ma oltre al tema del percepito ci sono i limiti oggettivi di un paese con un reddito medio di poco più di 21 mila euro, è aritmetico giungere alla conclusione che le famiglie possano avere difficoltà talvolta insormontabili, per non parlare poi di quelle in difficoltà economica che sono secondo recenti dati 4 milioni e destinate ad aumentare.
Bisognerebbe quindi valutare con pragmatica attenzione il costo-beneficio di un intervento che sostenga le famiglie nel percorso di formazione dei propri figli.
Là fuori c’è fermento, ragazzi che hanno voglia di studiare e crescere, ce ne sono tanti e tutti pronti a mettersi in gioco, non dobbiamo ostacolare o interrompere questa energia ma tutt’altro dobbiamo stimolarla, potenziarla e supportarla per immettere i nostri giovani, tutti senza distinzione di genere o provenienza, all’interno di un ciclo virtuoso dove il binomio Studiare-Benessere diventa il leit motiv. Negli anni del boom economico Henry Ford voleva che tutti gli americani avessero avuto un’automobile, in segno di progresso. Oggi che non siamo nel boom economico, e abbiamo tutti più di un’automobile quello a cui dovremmo ambire è che tutti gli italiani dovrebbero avere un’istruzione in grado di generare benessere, per sé e per il Paese.
Con una percentuale di laureati, e diplomati, così bassa dobbiamo assolutamente abbattere gli ostacoli al talento, anzi dobbiamo sforzarci a coltivarlo ovunque risieda.
A questo proposito, quello che sta succedendo in questi giorni a Scampia, con l’apertura dell’Università, e di un nuovo campus per le professioni sanitarie, è una cosa straordinaria. L’istruzione può vincere tutte le sacche di degrado del nostro Paese, è il mezzo più efficace anche per combattere la criminalità. Per adesso l’Università di Scampia ospiterà fino a 2660 alunni della Federico II.
È il momento che il sistema educativo italiano sia più inclusivo e adatto alle nuove generazioni. Essere più inclusivi vuol dire certamente presidiare anche le aree maggiormente svantaggiate, luoghi dove i talenti spesso si perdono ma anche ridisegnare i programmi di studio e i servizi, pensati per buona parte nel boom economico degli anni ’60.
Affinché un sistema economico sia competitivo sul mercato, è essenziale che abbia la capacità di potenziare la cultura e le competenze dei giovani. Diventa determinante, quindi, comprendere la diversità e la ricchezza dei nostri talenti made in Italy, rinunciando a suddividere la realtà in mere categorie socio-demo e comprendendone i cambiamenti e i bisogni, quelli che si situano tra cuore e stomaco, lì dove pulsano i valori più profondi in cui crediamo e dove l’istruzione ha sempre avuto un posto fondamentale.
La buona notizia è che il sistema impresa italiano è pronto ad accogliere un maggior numero di laureati, un maggior numero di competenze e un maggior numero di talenti.
In piena transizione come quella che stiamo vivendo una politica di prevenzione del sistema educativo che abbassa i rischi connessi alla crescente competizione globale e colga nuove e prospere opportunità di crescita per il nostro Paese, diventa un volano di successo per tutti.
La mia Accenture e il suo impegno al Sud Italia
Il nostro Paese è cresciuto più della media europea quest’anno, ha superato Francia e Germania e ben pochi paesi a livello mondiale sono cresciuti così. Eppure l’ecosistema della comunicazione sembra quasi snobbare questo risultato eccezionale. Eccezionale soprattutto perché dimostra le enormi potenzialità del tessuto produttivo italiano e degli italiani che hanno saputo e stanno ancora affrontando in maniera profittevole uno dei periodi più difficili della storia. Una qualità questa che andrebbero celebrata e valorizzata, dal momento che il 2023 si presenta altrettanto difficile.
La mia Accenture c’è. Abbiamo infatti deciso di intensificare l'impegno e raddoppiare la presenza nel Sud Italia creando, sulla scorta della bellissima esperienza avviata pioneristicamente prima a Napoli, dove abbiamo un Advanced Technology Center e un Cyber Security Center, poi a Cagliari dove esiste un polo tecnologico, due nuovi centri a Bari e Cosenza.

Con questo nuovo investimento puntiamo a raddoppiare il numero di talenti fino a 5 mila ed affiancare alle competenze avanzate in Sicurezza Informatica, Cloud, Intelligenza Artificiale quelle sull’e-health, Sostenibilità e i Dati. Ma non è quindi solo una questione di numeri. L’obiettivo infatti è creare anche intorno a queste città un ciclo virtuoso che possa coinvolgere tutti gli attori rendendo il territorio più attrattivo e migliorare la capacità occupazionale di giovani e meno giovani che potranno creare valore per il loro territorio d’origine.
Noi siamo certi che il divario Nord-Sud si possa superare a beneficio non solo del Paese ma anche dell’Europa, che con il Recovery Fund ha mostrato di avere fede nell’Italia.
L'innovazione crea ricchezza per tutto l'ecosistema.
L′Intelligenza Artificiale e la qualità dell′Informazione
Entro il 2030 le previsioni ci dicono che il 30% del lavoro sarà automatizzato. La ricerca scientifica sull'intelligenza artificiale e la robotica continua a crescere e le tecnologie del "fattore wow" vengono integrate in ogni tipo di prodotto e servizio.
Che si tratti di elaborazione del linguaggio, di protezione e selezione delle informazioni, di sistemi di raccomandazione che alimentano TikTok o Netflix, il ruolo moderno dei media sta cambiando faccia.
L’esempio del Secolo XIX, accompagnato dalla mia Accenture, sta cogliendo l’opportunità e le potenzialità dell'intelligenza artificiale e ci dimostra che la nuova tecnologia può essere un abilitatore differenziante anche per il giornalismo.
Il quotidiano ligure ha incorporato un Intelligent Assistant nel sistema redazionale. Il risultato? Un giornalismo sempre di qualità, immediato e preciso e la possibilità per i professionisti di dedicarsi a progetti a maggiore valore aggiunto. Milioni di dati vengono analizzati e i contenuti classificati in tempo reale. Un giornalista che si presta a scrivere una notizia, può contare sul prezioso e immancabile aiuto dell’assistente AI che controlla la coerenza dei dati presenti nel testo, i potenziali link e altre risorse, oltre all’ortografia e alla sintassi.
Sicuramente esistono importanti temi legati ad un’adozione massiva della tecnologia. La tutela della privacy e dei diritti è correttamente al centro dell'attenzione, così come l’adeguamento dei sistemi di istruzione e formazione per consentire la chiusura del gap tra i nuovi lavori che stanno già emergendo e le competenze utili per ricoprire le nuove professioni. In Italia una parte consistente del PNRR ha questo scopo.
Dal punto di vista normativo, si osservano passi importanti. Europa e USA stanno lavorando per preparare leggi per la protezione del cittadino.

La Casa Bianca ha avanzato un "Blueprint for an AI Bill of Rights" che contiene un insieme di principi e pratiche per guidare "la progettazione, l'uso e l'implementazione di sistemi automatizzati" in maniera tale da proteggere i diritti dei cittadini nell'era dell'intelligenza artificiale.
Vengono affrontati diversi punti, a partire dalle preoccupazioni su algoritmi viziati da pregiudizi, passando a quelle legate agli aspetti della sorveglianza basata su AI.
Anche in questo contesto la comunicazione, e i comunicatori, hanno un ruolo determinante. Le preoccupazioni sono infatti del tutto legittime, ma vanno viste in un processo di trasformazione per portare l’intera società nell’epoca della sostenibilità. Fondamentale quindi che tutti gli stakeholder abbiano evidenza ed accesso ad informazioni corrette e divulgative per includere positivamente in questo entusiasmante percorso il maggiore numero di persone.
Happy innovating!
La Comunicazione strategica che abilita il Cambiamento
Ogni aspetto del lavoro di chi si occupa di comunicazione esterna sta cambiando seguendo uno scenario macro economico più complesso e organizzazioni impegnate in trasformazioni sempre più compresse nel tempo, tanto da rendere fondamentale la capacità di decidere in segmenti di tempo ridotti, mandando così in soffitta la cultura dei piani di comunicazione triennali.
Non lavoriamo più da un posto fisso, oggi siamo in ufficio, domani a casa o chi in uno spazio di coworking. Ci sono nuove definizioni e atteggiamenti nei confronti del lavoro, come per esempio il dibattito tra umani e intelligenza artificiale. Paradossalmente ritengo che questo scenario di continuo cambiamento renda ancora più necessario dotarsi un strategia, resiliente by design.
Abbiamo bisogno di una strategia di comunicazione, di una strategia di gestione del team e di una strategia anche per noi stessi, per cogliere il cambiamento prima che arrivi. La sfida quindi è avere un rapporto differente con il tempo, accettando di ridurre i segmenti entro i quali troviamo ispirazione, soluzioni e agiamo in modo strategico.
La strategia di comunicazione deve avere il suo perno negli stakeholder, a partire dal proprio team di lavoro. Fondamentale è qui avere un approccio empatico e inclusivo. Un ambiente e un atteggiamento inclusivo fa sì che i membri del team siano coinvolti e motivati dal progetto a cui partecipano attivamente. Stesso approccio vale per gli stakeholder (top management, partner, media, influencer…) perché in un mondo fluido dove la strategia può cambiare rapidamente se non hai tutti gli stakeholder on board non puoi essere resiliente. Su questo punto ritorna l’importanza delle relazioni pubbliche, come momento di confronto attivo con tutto ciò che è portatore di interesse esterno all’organizzazione.

Siamo in una fase di trasformazione che arriva con molte idee nuove e innovative ma anche molte altre domande e sperimentazioni. Alcune cose sono chiare però. Ad esempio, che le audience e gli stakeholder ai quali ci rivolgiamo hanno più influenza di prima, che il lavoro del comunicatore è di baricentro per accogliere il nuovo valorizzando gli asset e il know-how della professione e, infine, che solo le organizzazioni che si alimentano con una comunicazione esterna ed interna veramente significativa, costruita intorno a valori sani saranno abbracciate da dipendenti, consumatori e clienti.
A proposito di avere un modello di economia dell’attenzione ma anche inclusivo nel contesto che viviamo, bella la campagna Joyful Diversity with AI di BMW che ha lanciato una sfida per trovare soluzioni per la diversità, l'equità e l'inclusione che possono essere messe in atto internamente. La sfida ha incoraggiato i partecipanti a proporre soluzioni basate sull'intelligenza artificiale e sui dati (compresi i dati in tempo reale) che testano, misurano e riducono sistematicamente i pregiudizi negli ambienti di lavoro e nella comunicazione. Con questa campagna BMW spera che le soluzioni possano consentire una migliore comprensione, riflessione e decisioni più intelligenti a livello globale, sia per l'azienda che per la società nel suo insieme. Dopo un processo di selezione iniziato in ottobre, una giuria selezionerà due squadre vincitrici entro dicembre di quest’anno.
Insomma il nostro lavoro di comunicatori è nuovamente al centro del cambiamento, sono tanti gli aspetti e le implicazioni, il lavoro che cambia, le audience che cambiano e la delivery che cambia. In questo meraviglioso mondo che si trasforma ogni giorno abbiamo l’opportunità di ribadire l’importanza di un lavoro senza pari.
Il modello Olivetti può insegnarci ad attivare il nostro Purpose
Net Zero è il new normal. Il numero di Paesi con impegni legali net zero è raddoppiato dal 2020, arrivando a coprire il 20% del PIL mondiale (rispetto al 6% di solo due anni fa). Qualitativamente il dato è ancora più interessante: quasi 700 delle 2.000 aziende più grandi del mondo hanno dichiarato di passare ad una governace net zero.
Per guidare il progresso verso questi obiettivi, le aziende stanno lanciando nuovi strumenti, guide, formazione, academy per aiutare i dipendenti a lavorare e vivere in modo più sostenibile. Iniziative che dimostrano l’intenzione di incentivare le persone a creare un cambiamento dall'interno e fornire loro gli strumenti e le conoscenze di cui hanno bisogno. Su larga scala il coinvolgimento dei dipendenti nel perseguimento dei parametri Net Zero potrebbe diventare un potente alleato per contrastare il trust gap e promuovere una forza lavoro più coinvolta.
La domanda che dovremmo farci forse è: in che modo renderemo i dipendenti essenziali per una strategia di sostenibilità e costruiremo una concreta cultura professionale del Purpose?
Come talvolta accade la soluzione potremmo averla in casa. Si tratta dell’impostazione olivettiana d’impresa intesa come agente di sviluppo della comunità locale, responsabile anche nei confronti del territorio e della sua bellezza. Olivetti è stato un pioniere della socio-sostenibilità. Convinto del fatto che la fabbrica, chiedendo molto ai suoi dipendenti, dovesse restituire altrettanto, pensò ad un modello di industria che eliminasse, dall'architettura ai rapporti con la forza lavoro, i vecchi modelli. In passato ho avuto la fortuna di lavorare ad un progetto di restituzione di una fabbrica ideata negli anni ‘60 da Adriano Olivetti ed ho così potuto cogliere “sul campo” la ragione che ha spinto gli amici americani nel prendere a modello proprio il pensiero di Olivetti per costruire la Silicon Valley.

Infatti fu lui che eliminò architettonicamente la gerarchia piramidale, introdusse la produzione culturale all'interno della sua azienda e si interessò dell'aspetto sociale del territorio. E qui che dobbiamo prendere spunto dall'imprenditore di Ivrea e capire che non ci possono essere realtà sostenibili senza una cultura della sostenibilità nella governance dell’azienda da cui derivano azioni concrete. La sostenibilità deve essere intesa come un fattore di produzione interno, una forza che si propaga verso l’esterno ed influenza tutto e tutti. Il ruolo esercitato dai dipendenti non è mai stato così importante come oggi: non è un caso che quando parliamo di purpose le persone preferiscono sempre di più lavorare per aziende in linea con i propri valori: 7 giovani su 10 affermano di essere più propensi ad accettare un lavoro presso un'organizzazione sostenibile, la metà di questi si dichiara disposto a considerare anche uno stipendio più basso a fronte di un organizzazione in cui riconosce i propri valori.
Guardando anche al mondo delle competenze e del futuro dei giovani in azienda, le aziende, il sistema scolastico e universitario stanno convergendo per creare skill ESG. Molto è generato dal bisogno di professionisti legati agli impegni provenienti dalla transizione energetica ma sempre più sta maturando un approccio che vede nelle competenze legate alla sostenibilità un denominatore comune utile a tutti, non solo agli specialisti.
Riscoprire il modello olivettiano, combinarlo con i moderni criteri ESG, accelerare la trasformazione del sistema d’istruzione attraverso l’adozione delle tecnologie abilitanti potrebbe consentirci di fare quel passo in avanti a vantaggio di tutto l’ecosistema, a partire dai nostri giovani. È l’ora di essere ambiziosi, del resto, chi avrebbe immaginato che la Silicon Valley sarebbe diventata la terra delle più potenti aziende del pianeta?










